È vero, siamo in guerra. È stato detto“. All’elenco dei sostenitori della “teoria del conflitto” sul virus, si iscrive dunque anche il nuovo capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio, secondo cui se siamo in guerra “serve forse qualche norma, come dire, “di guerra”, chiamiamola così?“.
La metafora è stata ripresa proprio ieri a Genova, in occasione dell’inaugurazione di un grande spazio per effettuare le vaccinazioni anti-Covid.
Presente sul posto anche il commissario Francesco Figliuolo, da cui forse ci si aspetterebbe di più dichiarazioni e metafore simili, visto il curriculum. Invece è toccato al sostituto di Angelo Borrelli passare il concetto divenuto ormai di uso comune anche tra virologi.

Parole pesanti, che non passano di fronte ad orecchie attente come quelle del filosofo Diego Fusaro, secondo cui la metafora della guerra, usata e riusata da mesi per riferirsi all’emergenza pandemica, avrebbe un preciso effetto su chi ascolta. Ma anche su chi prende le decisioni, si badi, visto che al presentarsi di una eventuale guerra, come dicono i libri di storia, l’approccio al metodo di governo e lo stile di vita delle persone cambia completamente.
Ecco il commento di Diego Fusaro ai microfoni di Fabio Duranti e Francesco Vergovich.

“E’ una nuova fase del capitalismo”

Lo dirò in maniera telegrafica e iper-semplficata: a Natale ci dicevano che saremmo rimasti in lockdown per poter salvare la Pasqua, ora a Pasqua ci dicono che siamo in lockdown per poter salvare il Ferragosto, a Ferragosto saremo in lockdown perché dovremo salvare il giorno dei Santi e così via.
E’ la pratica che Hegel chiamava del “cattivo infinito” e che la saggezza popolare qualifica come la dialettica dell’asino e della carota.
E’ chiaro come il sole che ci troviamo all’interno di una pandemia infinita perché deve essere infinita. Se finisse si dovrebbe tornare alla normalità, ma poiché la società non deve tornare alla normalità, bisogna che la pandemia non finisca mai di modo che si cronicizzi con essa anche lo stato di emergenza permanente.

Viviamo in un capitalismo che è passato dalla sua fase del carnevale, società di consumo liberalizzato e della società aperta, alla Quaresima permanente: lockdown e misure stringenti.

Le parole di Curcio

Ieri il direttore della Protezione Civile ha detto che siamo in guerra e servono misure di guerra: io lo dico da un anno che non è neutra questa metafora della guerra. Non ha senso parlare di guerra in riferimento a un virus, in medicina non ci sono guerre, c’è semmai una malattia da debellare.
Il fatto che si parli di guerra – del tutto inappropriatamente – non è neutro però, perché in guerra bisogna obbedire al sergente. Non c’è democrazia in guerra: bisogna solo eseguire gli ordini e il buon soldato è quello che li esegue senza batter ciglio. “Obbedite”, dice il sergente.
Punto secondo, in guerra bisogna fare i sacrifici e rinunciare a libertà e diritti perché vi è una salvezza da ottenere.
In terzo luogo, in guerra chiunque non si pieghi agli ordini del sergente senza batter ciglio è un pericoloso disertore che deve essere punito con la legge marziale evidentemente.
Sta usando un lessico criminogeno, perché parlare di guerra in riferimento a una malattia vuol dire perdere completamente il senso delle cose. Il linguaggio ha un suo peso specifico e va usato in maniera appropriata.

Altrimenti se parlate di guerra state dicendo che qualcuno sta facendo una guerra usando il virus, perché il virus non dichiara guerra a nessuno. La guerra presuppone che ci sia un progetto di qualcuno contro qualcuno. Sono gli achei contro i troiani che fanno la guerra, non un virus contro gli esseri umani.