E alla fine si è costituito il Governo di Mario Draghi, un governo tecnico che ha aggirato ampiamente ogni possibile confronto con la volontà delle masse nazional-popolari e che si presenta come super-partes, un governo di tecnici che semplicemente debbono fare le cose giuste al momento giusto per salvare l’Italia in un momento difficile.
Già ho insistito sulla pericolosità intrinseca dei governi tecnici che non debbono rispondere al principio della sovranità nazionale e che poi, soprattutto, debbono sempre e di nuovo intervenire in momenti difficili con l’ovvia conseguenza già peraltro sperimentata ai tempi del Governo Monti, per cui le scelte difficili che impongono per salvare la vita del corpo ormai moribondo dell’Italia vengono presentate, pur nella loro atroce dolorosità, come necessarie e ineludibili, e non consentissero alternative.

Ebbene, Mario Draghi ha presentato la sua squadra di Governo.
Colpiscono alcuni punti dirimenti, in primis rientra in pista Vittorio Colao: il top manager che già ebbe un ruolo importantissimo nel quadro dell’emergenza epidemiologica del Covid-19 nella primavera del 2020.
Con la scelta di Colao ancora una volta abbiamo un tecnico, l’ennesimo, che in realtà non è affatto super-partes, ma che incarna con il proprio iter biografico, con la propria vocazione, con le proprie attività svolte, una ben precisa visione del mondo: quella del capitale contro il lavoro, del sistema liberista contro i sistemi democratico-socialisti ormai in fase di sparizione.
Con il Governo Draghi rientra quindi dalla finestra Colao, che sembrava uscito temporaneamente dalla porta.

Poi compare anche il nome del turboatlantista Guerini che, ci assicurano le testate giornalistiche, ha ottimi e saldissimi rapporti con Washington, e che quindi – aggiungo io tra le righe – è la persona adatta per garantire a oltranza la subalternità dell’Italia rispetto agli USA, contro ogni vaga pulsione a guardare verso la Russia o verso la Cina.
Sono tutte persone di fiducia dei mercati internazionali“, ci assicurano ancora le testate giornalistiche, il circo mediatico e il clero giornalistico. Come dire, una volta di più, che sono tutte persone dei mercati internazionali. Non delle classi nazional-popolari.

Insomma dobbiamo rassicurarci, perché se anche nessuno di noi li ha mai votati o ha mai espresso consenso verso queste figure, esse nondimeno piacciono ai mercati internazionali: questo è ciò che conta. Tutto il resto passa in secondo piano.
Il paradosso è sempre il medesimo, viviamo in un’epoca in cui a decidere sono i mercati e le loro classi. Chiamiamo democrazia semplicemente l’autogoverno dei mercati o anche, in alternativa, l’autogoverno delle classi dominanti, il plebiscito permanente dei mercati che lasciano talvolta che il popolo si esprima, sì, ma a patto che ciò che il popolo esprime coincida con ciò che le classi dominanti hanno già aprioricamente deciso nei loro consigli di amministrazione.
E’ curioso come i più, nel tempo del neoliberismo, siano tutti assorbiti dal dare la caccia ai fascisti e ai comunisti e non si accorgano come, giorno dopo giorno, si verifichino colpi di Stato ovunque, orchestrati dalla finanza e dalla sua classe di riferimento.

Essi piazzano i loro uomini senza nemmeno più dover passare dalla semplice votazione delle masse nazional-popolari, ormai ritenute superflue, quando non insopportabili con la loro stessa esistenza.

RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro