Quanto può durare un’emergenza?
Più in generale, qual è la durata massima che permette di chiamare emergenza una condizione che altrimenti non è più emergenza, ma diviene normalità?

Sono domande lecite in generale – e doverose oserei dire – nell’odierna condizione nella quale da ormai quasi un anno ci troviamo.
Era infatti il 31 gennaio del 2020 quando il Governo dichiarò lo stato di emergenza in relazione all’emergenza epidemiologica che stava effettivamente per sbarcare nel continente europeo e in primis nella penisola italiana.
Dopo quasi un anno da quella data sembra effettivamente che lo stato di emergenza stia per essere rinnovato fino al 31 luglio.
Così leggiamo su La Stampa di Torino in data 6 gennaio 2021: “Ipotesi stato di emergenza fino al 31 luglio: cosa significa e cosa cambia“.

Ebbene sì, avete inteso rettamente. Ci si avvia, se verranno confermate le voci proposte da La Stampa a un rinnovato stato di emergenza fino all’estate 2021, sicché lo stato di emergenza, lungi dall’esaurirsi, verrà prorogato per altri sei mesi.
Forse chissà, a luglio 2021 ci troveremo nuovamente a commentare una nuova proroga dello stato di emergenza.

Allora torna a risuonare ineludibile la domanda che ponevo poc’anzi: siamo in uno stato di emergenza o l’emergenza non si è già mutata in nuova normalità?
E con essa la nuova razionalità politica istituita grazie all’emergenza, non è già essa stessa la nuova normalità?

Viene chiamato “governo emergenziale”, “gestione della crisi”, ma forse a ben vedere è già divenuto da tempo la nuova normalità.
Si è istituzionalizzato come un nuovo metodo di governo delle cose e delle persone, che in nome dell’emergenza e dell’urgenza che esso impone, scavalca e marginalizza sempre più le procedure democratiche: se v’è l’emergenza occorre agire “hic et nunc”, senza perdite di tempo, senza lungaggini parlamentari.
Ecco perché l’emergenza non può far rima in alcun caso con la democrazia. Anzi, a voler pensar male può essere il metodo ottimale per aggirare la democrazia fingendo che siano le cose stesse a richiederlo, e non invece una svolta autoritaria autorizzata e orchestrata dalle classi dominanti.

E poi, naturalmente, c’è il nuovo modello di società che sempre più si presenta come normalità. Certo, nessuno di noi lo accetterebbe se venisse imposto d’imperio, ma poiché v’è l’emergenza, l’inaccettabile della normalità diviene puntualmente l’inevitabile dell’emergenza.
Ed eccoci qui – ormai a un anno di distanza – pronti, passivi, cadaverici, ad accettare tutto ciò che stiamo accettando semplicemente perché ci dicono “c’è l’emergenza epidemiologica!”

Se questa non ci fosse non avrebbe senso accettare questo nuovo governo delle cose e delle persone. Ma finché l’emergenza persiste, non ci sono alternative.

Ecco perché, lo avrete inteso anche voi, l’emergenza non potrà finire. La pandemia non potrà terminare.
Non solo perché la pandemia in quanto tale verrà fatta durare al livello reale o narrato ancora a lungo, ma poi anche in ragione del fatto che nuove e letali pandemie sono già all’orizzonte.
Insomma, se il metodo di governo dell’emergenza ha bisogno dell’emergenza per legittimarsi, bisognerà in un modo o nell’altro far sì che l’emergenza continui e mai venga meno.

RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro