“Svastiche, antisemitismo, telefonate anonime contro l’ebreo. Non siamo a Norimberga nel 1933; siamo a Udine nell’estate del 1989“.

Svastiche, antisemitismo, telefonate anonime contro l’ebreo. Non siamo a Norimberga nel 1933; siamo a Udine nell’estate del 1989. Fuori da ogni formula descrittiva a effetto, è la cronaca di una sessione estiva di calciomercato, di un affare concluso, apparentemente; col senno di poi, di una pagina vergognosa e nera, in tutti i sensi, della nostra Serie A. Ricchissima, all’epoca, con tanti fuoriclasse e tantissimi giocatori forti e già affermati che arrivavano per diventarne protagonisti anche in provincia, al di fuori del circuito metropolitano. 

Arriva domenica 9 luglio 1989 all’aeroporto di Ronchi dei Legionari l’attaccante Ronny Rosenthal, acquistato dallo Standard Liegi. Trova alcuni tifosi festanti. È il primo israeliano nella storia del campionato italiano. Da giorni, intanto, alla sede della società friulana arrivano telefonate anonime.

Sabato 15 luglio l’attaccante non supera le prime visite mediche. Due vertebre sarebbero troppo ravvicinate: un’anomalia congenita, che non aveva mai rappresentato un problema in tante stagioni da professionista: sette, senza avvertire alcun dolore. Ronny si concede qualche altro giorno di ferie in Israele. Conta di rientrare in Friuli martedì 18, preceduto dagli esami radiografici degli ultimi sette anni. Nella notte tra domenica e lunedì, compaiono scritte sul muro della sede dell’Udinese: “Rosenthal go home” con accanto un teschio. “Ebrei via dal Friuli”, col corredo di una svastica. Ancora quattro: “Rosenthal vai nel forno. HTB, Hooligans Teddy Boys“.  

Non mi erano mai capitati episodi del genere. Né a Bruges, né a Liegi i tifosi si erano mossi contro di me a causa della mia nazionalità. Non so chi sono. Non so cosa vogliano farmi. Io non ho paura . In Israele sono stato abituato a vivere in una realtà molto più difficile di questa. Nei tre anni con l’esercito mi sono fatto le ossa e ho capito che il nostro popolo sarà sempre perseguitato. Constato con amarezza che, a questo punto, bisogna combattere fino in fondo questo fenomeno per cercare di isolarlo. Questi pazzi girano per tutto il mondo. Non mi fa specie il fatto che si trovino anche a Udine. E mi dispiace che siano coinvolte persone che non c’entrano nulla con questa vicenda”.

Da quel momento in poi, solo polemiche, imbarazzi, referti medici che già erano superflui e che risulteranno comunque, in un modo o nell’altro, ignorati. Si mettono in mezzo in tanti, in Italia come in Israele, perché la questione e lo strascico discriminatorio che si porta appresso hanno già travalicato l’ambito sportivo. Personalità della cultura ebraica, politici, intellettuali. Tra gli altri, esterna tutto il suo sdegno Gianni Rivera. Immancabile l’interrogazione parlamentare di rito, sulla scia del clamore. 

Alla fine, l’Udinese rinunciò a Rosenthal, con il pretesto di dubbi non fugati sulla sua schiena. Quella stessa schiena con la quale lui poi avrebbe realizzato 14 gol in sessantasei presenze al Liverpool, vincendo anche la FA Cup, per poi andare al Tottenham, sempre strappando contratti importanti. Neanche in Inghilterra mancavano gli idioti; ma, evidentemente, già si conosceva il modo di isolarli, senza starli a sentire. Rosenthal citò poi in giudizio l’Udinese per danni morali: nel 1995 la pretura di Udine riconobbe il club responsabile di atteggiamento discriminatorio e lo condannò al risarcimento di 61 milioni di lire.

Curiosamente, chiuse la carriera al Watford, l’altra squadra di Pozzo. Il presidente era lo stesso che avrebbe avuto a Udine, quindi. Diversa, molto diversa, fu in Inghilterra la maniera di reagire ai razzisti.

Paolo Marcacci