Una commemorazione diversa del Giorno della Memoria  ieri sera nell’Aula Magna della Luiss di via Pola a Roma, che tra arte, studiosi e testimoni  della Shoah vuole disegnare una coscienza più profonda, come risposta ai recenti segnali di barbarie, vedi le minacce alla senatrice Liliana Segre, le scritte in tedesco sulle porte di abitazioni private, le devastazioni di tombe imbrattate da svastiche. Arte del presente in quanto cicatrice delle ferite del passato, con la voglia di non restare neutrali, di non girarsi dall’altra parte.

Le registe Lilli Spizzichino e Simona Gamberini  hanno creato questo evento da più di un anno e con soddisfazione lo hanno visto realizzato: il direttore della Luiss Lo Storto ha fatto gli onori di casa con generosità e commozione per la variegata successione della scaletta,  l’attore Bruno Crucitti ha interpretato con grande sapienza il monologo di Zio Leoncino, cogliendo in quello spazio tutto sommato teatrale una comunicazione confidenziale, drammatica e intensa; l’instancabile  Uemon Ikeda ha creato un’installazione gigante col suo filo rosso nel cielo dell’Aula Magna (un’immensa tela di ragno, ma anche rappresentazione del  filo spinato dei campi) che ospitava  un pubblico di circa 150 persone e la coreografia di Francesca Romana Sestili, brava nel semplificare e amplificare il codice dei corpi, imprigionati dalle strutture filiformi e infine sopraffatti, anche dalle note assai scure ed evocative di Mauro Bortolotti.

Il dibattito, moderato da Lilli Spizzichino, ha visto spaziare la minuziosa conoscenza storica di Claudio Procaccia, Direttore Beni e Attività Culturali della Comunità Ebraica di Roma, insieme a quella altrettanto importante di Amedeo Osti Guerrazzi, della Fondazione Museo della Shoah; Silvana Ajò Cagli, di 93 anni ha incantato il pubblico con la sua straordinaria vitalità e lucidità. Una donna che con il suo spirito rappresenta un patrimonio inestimabile di energia e saggezza, raccogliendo applausi interminabili.

Alessio Scialò si è esibito in un concerto per pianoforte decisamente affascinante, una musica  moderna ma ampiamente fruibile per la sua concezione melodica. Le fotografie di Roberto Vignoli, realizzate con una particolare tecnica per bianco e nero sviluppata da Man Ray negli anni Trenta, illustravano le poesie di Claudio Damiani tratte dalla raccolta “Ode al Monte Soratte”.  Il Soratte è ben conosciuto dal Damiani e con grande ispirazione lo ha descritto come cosa viva e sensibile, con cui parlare e ragionare. Non è casuale, probabilmente , che una delle foto rappresenta un panorama assai simile a quello che si può ammirare a Gerusalemme una volta usciti dal museo della Shoah.