Lo Start Tour 2019 di Luciano Ligabue negli stadi ha avuto ingressi di gran lunga al di sotto delle aspettative. A sottolinearlo il mese scorso su Linkiesta era Michele Monina, che denudava quel re che era entrato – più volte – trionfante sul palco dell’Ariston. Lo richiamava alla realtà, mostrando quel ‘palco a metà’ negli stadi: pochi biglietti venduti e mezzo palco, letteralmente, perché montato al centro dello stadio, così da camuffare il vuoto del prato e le file vacanti sugli spalti. Flop? Battuta d’arresto? Progetto audace? Presuntuoso? Non spetta a noi dirlo. Resta il fatto che lo stesso Lucianone ha dovuto ammettere il calo: un’affluenza di pubblico – scriveva sui social – “inferiore alle previsioni dell’agenzia”.

Davvero, Luciano, non te l’aspettavi? Avresti dovuto. Ecco perché.

A scrivere è qualcuno che a 3 anni cantava Lambrusco e pop-corn senza sapere ancora dell’esistenza delle consonanti. È qualcuno che dopo aver perso il meglio dei live degli anni ’90 ha tentato di mettersi in pari andando alla ricerca di scenografie, energia ed esuberanza che ti rendevano tanto amabile. E giù di album, gadget e video. Come quello in bici ‘su e giù da un palco’, quando insieme agli stivali a punta c’erano anche i capelli castani ancora lunghi a perdersi nel vento.

Chi, oggi, cerca di spiegarti dov’è che hai sbagliato, Luciano, è qualcuno che rinnovava la tessera del fan club ogni anno, qualcuno che parte del Bar Mario ci si sentiva come dentro una famiglia. Qualcuno che c’era a ogni Campovolo, raduno, concerto fuori e sotto casa. Qualcuno che ha preso pioggia e insolazioni, che ha masticato chilometri di treno, autobus e autostop. Qualcuno che ha dormito per strada, che si è accampato per la prima fila, che aspettava il braccialetto fluorescente attaccandosi come un devoto a quel numero nero sul polso che non si toglieva nemmeno alla decima doccia.

Chi scrive è qualcuno che ha resistito fino a Mondovisione, che a Made in Italy non ce l’ha fatta, che a Start ci ha riprovato, ma poi ha capito che era meglio lasciar perdere.

Caro Luciano, tu quello che scrivi non lo provi più.

Pensi di riuscire a ‘sentire’ cosa succede nel mondo, ma lo immagini e basta. Descrivi per sentito dire. Ipotizzi per logica. E la logica, si sa, emoziona solo quando è autentica.

Il motivo per cui quelli come me hanno smesso, Luciano, è banale. Hai lasciato che quella “agenzia” di cui parli spremesse il tuo pubblico come limoni. Hai permesso che tour su tour, gadget, rimasterizzazioni, vinili ed edizioni limitate facessero perdere tutto il sapore delle tue canzoni.

Hai ancora qualcosa da dire, Luciano?

Hai delle opinioni? Dei dubbi? Dei drammi interiori dei quali vuoi veramente parlare? C’è nel tuo cassetto almeno una canzone che senti veramente tua? Hai nella tua testa almeno un brano che non sia solo un prodotto?

Se sei stanco va bene così. È rimasto tanto di quel passato da apprezzare e tramandare. Adesso però prenditi del tempo. Emozionati.

Manca qualcosa tra palco e realtà. E senza quel qualcosa qui, seduti in riva al fosso, non ci si sta proprio benissimo.

Benedetta Intelisano