Il caso Sea Watch 3 a largo delle coste sicule dimostra, ancora una volta, che la linea che separa le ideologie predominanti in Italia è più netta che mai. No, non si parla di credo politico. E nemmeno di sostenitori della Capitana o sostenitori del Capitano. Si parla di reazioni violente e ingiustificate da un lato, e di prese di posizione argomentate, più o meno condivisibili, dall’altro.

Ciascuno può giudicare la vicenda politica come crede, ma diciamolo, i commenti comparsi sul web rivolti a Carola Rackete sono vergognosi. Il motivo non è – soltanto – legato al fatto che si tratti di insulti sessisti. Il vero problema è la violenza. Una violenza gratuita, fuori luogo e totalmente inaudita.

Emblema di questo imbarazzante inciso, che ancora una volta fa sprofondare nel peggiore degli imbarazzi le intelligenze, i commenti sui social che le augurano stupro e impalamento in pubblica piazza. O, ancora, la diretta Facebook di oggi del gruppo leghista di Lampedusa, in cui voci che urlano “spero che ti violentino questi neg*i” accompagnano il suo sbarco sulla terraferma.

Punta di un iceberg di una cultura – che a definirla cultura si fa fatica – di sboccata brutalità, figlia di chissà quale frustrazione. Furia codarda, incapace di reggere lo sguardo umano, che richiama uno dei più brillanti – e ahinoi peggiori – esperimenti della storia dell’arte.

Ci sono 72 elementi sul tavolo e si possono usare liberamente su di me. Premessa: io sono un oggetto. Durante questo periodo, mi prendo la piena responsabilità di ciò che accade” – Rythm 0, Marina Abramovic

1974, a Napoli – sì, proprio in Italia – l’artista Marina Abramovic lasciò che la gente usasse, letteralmente, il suo corpo. Mise a disposizione degli oggetti e rimase immobile per 6 ore con la promessa di non muoversi, di non reagire, di non opporsi a nulla di ciò che sarebbe accaduto, compreso l’omicidio.

Prima timidi, curiosi, incerti, poi brutali, violenti, spavaldi. In troppi si sono scagliati contro di lei.

Le hanno strappato i vestiti di dosso, l’hanno colpita, le hanno tagliato il collo con delle lame, conficcato delle spine in pancia. Hanno assunto atteggiamenti sessuali spinti e volgari su di lei, l’hanno frustata, minacciata. Qualcuno, poi, le ha puntato una pistola alla tempia. Era carica, un colpo solo, ed è stato uno dei presenti a toglierla di mano a chi aveva deciso di impugnarla.

Trascorse le 6 ore, poi, il burattino ha ricominciato ad essere donna. L’installazione, la Rythm 0 della Galleria Morra di Napoli, si è conclusa con quella pistola alla tempia. L’artista si è ritrovata nella stessa stanza di coloro che l’avevano violentata – con questa parola la Abramovic ha descritto la sua esperienza – ne ha cercato il contatto visivo, il confronto a pelle. Un contatto che non c’è stato e che è sprofondato nella peggiore delle vergogne. L’indifferenza.

E del resto, se l’è cercata. No?

“Questo lavoro rivela qualcosa di terribile sull’umanità – ha detto dopo l’artista – dimostra quanto velocemente una persona può far male in circostanze favorevoli. L’esperimento mostra come sia facile disumanizzare, abusare di una persona che non lotta, che non si difende. Dimostra inoltre che, fornendo lo scenario adatto, la maggior parte della persone apparentemente ‘normali’ può diventare estremamente violenta”.

Sì, l’Italia è divisa in due. Una divisione né partitica né fedelmente, e rispettabilmente, ideologica. E’ divisa tra chi sceglie di essere violento e chi no. La divisione più antica del mondo, quella tra il bene e il male. Una divisione che necessita più di una semplice riflessione, ma a cui serve certamente più umanità.

Benedetta Intelisano