Art. 27 della Costituzione: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.
Nella Gomorra della politica la presunzione d’innocenza non vale persino per l’indagato, ossia per colui che, non soltanto non ha neanche potuto difendersi, ma soprattutto per il quale non è stata neanche accertata la fondatezza delle accuse?

Spesso si parla della Magistratura come un potere che prevarica gli altri. Forse talvolta accade. Ma nella maggior parte dei casi ad utilizzarla come ‘cecchino’ è proprio la parte più cinica e speculativa della politica stessa, quella che molto spesso non ha idee, argomenti, programmi, evidentemente poca capacità e difficoltà a proporsi all’elettorato con strumenti diversi dell’avversario politico manu militari (per ordine coercitivo della forza pubblica).

E non solo! Visto che chi si avvale della Magistratura, per emanare condanne ‘sbrigative’ in processi sommari, sono per lo più la dittatura o lo stato di polizia. Non vi è chi non veda che l’opera di criminalizzazione dell’indagato, nel tempo, sia sempre partorita (oltre che nei casi sopra citati) dai partiti estremisti (sia di destra che di sinistra) populisti, ovvero a scarsa o falsa vocazione democratica.

In un Paese in cui vi è l’obbligatorietà dell’azione penale per indagare una persona e’ sufficiente: una lettera anonima di perfide accuse, ovvero qualcuno che sa di essere ascoltato e che per creare discredito ad avversari o competitori li calunnia telefonicamente, oppure qualche millantatore che per acquisire credito racconta falsità, o peggio qualche “cretino” che scherza al telefono o “vuol darsi un tono” addossando a se od altri comportamenti criminali, o che si voglia tagliare la carriera a qualcuno magari estrapolando frasi o termini che nel testo integrale della conversazione avrebbero tutt’altro significato rispetto a quello che artatamente gli si potrebbe attribuire.

L’invidia, l’impotenza, la viltà, l’incapacità o peggio le finalità meschine, di chi probabilmente non ha altri mezzi per competere lealmente, sono tutti ingredienti naturali idonei a strumentalizzare l’opera della magistratura nell’esercizio legittimo dei suoi poteri al fine di favorire estromissione dell’avversario dall’agone politico attraverso un’attività di ‘rottamazione coatta’ e di demolizione immediata dell’onore e della reputazione dello stesso.

PRESUNTI… nemici del popolo, sovversivi, cospiratori, infedeli, corrotti a vario titolo e denigratori del sistema, etc, nelle dittature sono finiti, spesso senza processo, al confino, in galera, nei campi di concentramento oppure direttamente passati per le armi.

Le modalità di azione sono sempre le medesime ossia la delazione costante in un clima di spionaggio in cui l’occhio e l’orecchio del “grande fratello inquirente” osservano ogni movimento del presunto indiziato.

In tale clima infernale l’avviso di garanzia, non è considerato come un atto di garanzia (per l’appunto) nei confronti dell’indagato (quale dovrebbe effettivamente essere), ma come sentenza definitiva di condanna alla defenestrazione dalla vita pubblica.

Una mattanza continua! Soggetti sbattuti sulle prime pagine dei giornali e poi, neanche rinviati a giudizio, che vengono sbranati da avvoltoi professionali, spesso gente inutile, in grado di sopravvivere soltanto ‘uccidendo’ l’avversario di turno per offrirlo in pasto al popolo che sin dal tempo dell’antica Roma amava il sangue (persino nel gioco).

La pancia del popolo che tra l’innocente Gesù di Nazareth ed il ladrone conclamato Barabba sceglieva democraticamente Barabba, così offrendo validi argomenti ai detrattori della democrazia e del popolo.

Raggi, Mastella, Marino, ecc. tutti già esposti alla gogna mediatica prima della proclamazione d’innocenza. Il secondo ed il terzo stralciati barbaramente dalla vita politica non per manifesta disonestà ma per “presunzione di colpevolezza”.

Una folta truppa – di inetti, scappati di casa, impostori senza arte e ne parte, che invocano la forca, l’unica (la forca) che gli consenta la prosecuzione di una carriera immeritata, ancorché inutile e dannosa (per la collettività), altrimenti vissuta dai più di espedienti – è sempre pronta a dettare la propria legge ed a interpretare le norme contraddicendone in significato.

Siri è soltanto l’ultima vittima dell’attuale ‘inquisizione’. ‘Dell’esecuzione‘ se n’è fatto carico addirittura un Presidente del Consiglio, Giudice, che forse confonde la presunzione di innocenza con la presunzione di colpevolezza e che in ragione di un’etica ‘un po’ curiosa’ vorrebbe applicare una sanzione grave come la revoca dell’incarico a chi non soltanto non è stato condannato per le accuse rivoltegli, ma a cui non è stato neanche concesso il diritto di difesa.

Oggi si dice che tale soggetto avesse in passato patteggiato un reato di bancarotta.

Effettivamente pessima storia.

Ma questo era noto a tutti sin dall’inizio e poteva certamente rendere inopportuno il suo incarico, ma, al tempo, all’attuale Censore, quel patteggiamento apparve probabilmente irrilevante ai fini della nomina a Sottosegretario di Stato, incarico che effettivamente gli venne conferito senza particolari pubblici patemi.

Mi spiegate semmai, se proprio vogliamo parlare di etica e di onestà, quali siano le ragioni di opportunità e di affidabilità che giustifichino la nomina da parte del Presidente del Consiglio di un bancarottiere al Governo?

Enrico Michetti