Forse, ancora una volta, c’eravamo tutti un po’ troppo sbilanciati nell’affermare di aver intravisto una rinascita del calcio italiano a livello europeo. Di nuovo ambiziosi a parole, molto poco attenti nelle analisi.
Il vero paradigma di questa riflessione non è la Juventus, per quanto in assoluto ne rappresenti la cartina di tornasole; è il Napoli. Anzi, il Napoli di Carlo Ancelotti. 

Partiamo dall’assunto che Ancelotti è nell’empireo di quei tecnici da definire vincenti in assoluto e a ogni latitudine: la sua storia nessuno gliela toglie; ha fatto epoca, soprattutto a Milano e a Madrid e se non viene accomunato a Guardiola o Mourinho in quanto ad appeal filosofico è solo perché l’ingrediente dei suoi successi è più individuabile in un buon senso di altissimo profilo, ammantato da un’espressione bonaria esibita verso l’esterno.

Però conta il presente, una volta esibiti i curriculum (argomento spinoso in questi giorni) e il presente ci parla di una stagione in cui Ancelotti è “tri – eliminato” (neologismo orrendo, ce lo diciamo da soli), essendo stato estromesso da Champions, Coppa Italia e ora Europa League, mentre in campionato non raggiungerà la vetta del Napoli sarriano in quanto a punteggio.

Questo per dire cosa? È un argomento che indirettamente può riguardare anche altre piazze, ossia quelle dove si comincia a pensare che basti un tecnico di altissimo profilo per attuare l’agognato salto di qualità. Fino a dicembre in molti lodavano De Laurentiis per aver portato il Carletto nazionale a Napoli, senza aver toccato l’ossatura della squadra, pur non avendola arricchita tecnicamente. Bene, anzi malissimo: a marzo ci si trova a considerare l’implosione tecnica di questo discorso, dati sconfortanti alla mano.

Ci sarebbe poi da considerare il momento di carriera in cui si acquisiscono le prestazioni di un tecnico, il suo appagamento (non è il caso di Ancelotti), l’eventualità che, come ogni professionista in ogni campo, abbia intrapreso il “sunset boulevard”, il viale del tramonto (questo potrà confermarlo o smentirlo solo il prosieguo della sua carriera), infine il perché abbia accettato un progetto tecnico importante ma non indiscutibilmente vincente, soprattutto se poteva aver bisogno di rientrare nel giro.
Nel frattempo, resta a mezz’asta il tricolore, al confronto con l’Europa che guadagna e si arricchisce tecnicamente: questo più che un viale sembra un tunnel, dal quale ancora non si scorge la luce.

Paolo Marcacci