A volte più l’ago è sottile, più la puntura fa male. Metafora per dire cosa? Che è bastata mezza riga, su varie testate, a far dedurre il ridimensionamento rapido delle ambizioni dirigenziali di Francesco Totti in seno alla As Roma che verrà. Poi c’è la Roma, intesa come patrimonio sentimentale e ideale, ma su questo torneremo tra qualche riga, magari stavolta intera.

Svetta il nome di Campos, che oggettivamente ha lavorato bene al Lille, come direttore sportivo e “costruttore” della squadra per la prossima stagione. Non in discussione, almeno stando a varie rassicurazioni, il ruolo di Massara in seno all’organigramma dirigenziale. Convitato di pietra di questo discorso e di questo scorcio di futuro, ancora una volta Franco Baldini, che mescola le latitudini come le percezioni sul suo potere decisionale e la sua incidenza in seno al club: Campos lo ha scelto lui, il suo nome torna sul proscenio dei media in concomitanza con un blitz in Toscana. 

Ci sarebbe un altro, da rassicurare, all’interno della As Roma. Ossia Francesco Totti, il cui nome continua a creare qualche imbarazzo. Abbiamo letto da più parti, improvvisamente: ridimensionato il ruolo di Totti. Quello che credevamo, dall’esterno, si fosse meritato negli ultimi mesi. Quella ipotesi che era germogliata, guarda caso, in concomitanza con la “fiammata” delle suggestioni qatariote.
Nel frattempo, basta un’amichevole al Tre Fontane perché Totti torni a rappresentare la Roma, quel patrimonio sentimentale di cui sopra. Che lo abbia fatto tornando a calzare gli scarpini è solo un dettaglio: qui si parla di rappresentanza, del riconoscersi in un simbolo. Ed ecco allora il distinguo: il suo nome ancora rappresenta, meglio e più di ogni altro, quello che la Roma significa per un popolo di tifosi.

Anche a livello di marketing, attenzione: all’estero come in Italia, perché vi sono angoli del pianeta dove il suo nome è più conosciuto di quello del club. E se non per riconoscenza, almeno per convenienza su di lui bisognerebbe obbligatoriamente investire. Un ragionamento che da romanisti è anche innaturale, perché sottintende già una mancanza di rispetto al più importante personaggio (non solo giocatore quindi) della storia romanista. Anche perché quando c’è stato bisogno di esporsi, negli ultimi tempi, per ricompattare un ambiente sempre più destabilizzato, a lui si è fatto ricorso. 
A chi, infine, dovesse obiettare che ancora non si è capito quali capacità dirigenziali possa avere, risponderemmo che finché non verrà messo alla prova non lo sapremo mai.

Paolo Marcacci