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Il mio esordio in Serie A. Roma-Torino, 10 Maggio 2003. Siamo avanti 3 a 1, con una doppietta di Cassano ed un fantastico gol di Daniele, anche lui giovanissimo. Manca poco alla fine, mister Capello cerca il mio sguardo e mi dice “Cambiati, tocca a te.” Non ho tempo di provare tutte quelle emozioni che mi ero immaginato da bambino, perché in pochi secondi mi ritrovo a dare il cambio ad Emerson e a calpestare per la prima volta il prato dell’Olimpico. Entro e scattano i tre minuti di recupero nei quali però non riesco a toccare un pallone giocabile. Mi si avvicina l’arbitro Pieri e mi dice “Tranquillo, finché non tocchi il pallone, io non fischio la fine”. La partita dura un minuto e mezzo in più del previsto, tocco il mio primo pallone in serie A e sento i tre fischi finali. Difficile dimenticare un gesto simile. Impossibile dimenticare quella giornata.

Un post condiviso da Alberto Aquilani (@albeaquilani) in data:

Alberto Aquilani ha pubblicato su Instagram un ricordo che la riguarda da vicino: il suo primo pallone giocato in Serie A, che toccò grazie alla sua decisione di ritardare il fischio finale. Si ricorda come andò?

Grossomodo è andata come l’ha descritta lui sul post. Lui esordiva in quel Roma – Torino: quando è entrato in campo gli ho fatto i complimenti e gli ho detto ‘benvenuto in Serie A’, poi nei secondi finali ho visto nel suo viso il dispiacere di non poter toccare un pallone. D’istinto mi sono avvicinato a lui e gli ho detto ‘Non fischio finché non tocchi il pallone’ e la partita me l’ha concesso perché il match di fatto stava finendo sul 3-0 per la Roma quindi gestire il recupero diventava molto più semplice rispetto a una gara in cui poteva di fatto cambiare il risultato e che quindi non avrebbe permesso all’arbitro di concedersi questa licenza. Quindi la verità è questa, ho allungato il tempo di recupero ma i calciatori del Torino non avevano capito quindi tentavano di riagguantare la partita. A quel punto lui è riuscito a toccare il suo primo pallone e ho fischiato la fine, così ho potuto vedere la felicità di un ragazzo che ha potuto fare la sua prima giocata in Serie A, perché sarebbe stato veramente triste che raccontasse il suo esordio nella massima serie senza aver toccato neanche un pallone.

Non capita spesso di poter vedere questi episodi, cosa la spinse a fare quel gesto?

E’ stato semplicemente il cuore, la sensibilità che mi ha sempre portato a interagire coi calciatori in maniera spontanea, il poter vedere la soddisfazione nella faccia di un calciatore perché poi va ricordato che gli arbitri hanno anche un cuore. Non a caso quel gesto Aquilani lo ricorda ancora dopo circa sedici anni. La stima in quell’occasione è stata reciproca e quando ci siamo incontrati successivamente abbiamo sempre scherzato su quell’aneddoto.

Per lei è’ cambiato oggi il rapporto tra calciatori e arbitro? È’ ancora possibile assistere a queste scene oppure è’ più difficile?

Beh, sicuramente è cambiato il regolamento. Le norme calcistiche di oggi tra VAR e regolamenti più rigidi ha portato arbitri e calciatori ad avere semplicemente un rapporto più notarile. E’ questo che un po’ a volte manca agli arbitri: l’aspetto umano che bisogna andare a ricercare. In quelli un po’ più anzianotti oggi lo vedo ancora, nei nuovi c’è più rigidità. Poi è anche una componente personale, la sensibilità o ce l’hai o non ce l’hai, comunque anche oggi vedo rapporti di questo tipo. Ricordo un’altra partita della Roma in cui c’era Mauro Bergonzi, era un Messina – Roma: lì Daniele De Rossi ammise di aver segnato un gol irregolare con la mano, meritandosi la stretta di mano del direttore di gara. Ci sono episodi in cui l’arbitro riesce ad instaurare un feeling che va oltre l’agonismo, oltre la partita.