Brexit, perché all’Ue non conviene rinviare

All’Unione Europea non conviene accordare alla Gran Bretagna un rinvio troppo lungo della data di uscita di Londra dall’Ue, ammesso e non concesso che il primo ministro britannico Theresa May lo chieda. Ad illustrare i tanti motivi che sconsigliano ai leader dell’Unione a 27 di concedere ai britannici troppo tempo per risolvere il nodo della Brexit sono Fabian Zuleeg, capo economista dell’Epc, European Policy Centre, un think tank con sede a Bruxelles, e l’analista Larissa Brunner, in un’analisi dedicata alla questione che si porrà probabilmente di qui a fine marzo (“Extending Article 50: One step too far for the EU?”, www.epc.eu).

Il secondo “voto significativo” (“meaningful vote”, come l’ha definito la May) sull’accordo di ritiro, già bocciato una prima volta, avrà luogo alla Camera dei Comuni solo il 12 marzo, a poco più di due settimane dalla data della Brexit, scelta dai britannici quando hanno notificato all’Ue la volontà di recedere dall’Unione (l’uscita scatterà alle ore 24 del 29 marzo ora di Bruxelles, alle 23 ora di Londra). Per gli esperti dell’Epc, più si avvicina il 29 marzo, più “è probabile” che un allungamento del biennio previsto dall’articolo 50 del Tue si renda necessario, per evitare il “caos” di una Brexit senza accordo.

In linea di principio, osserva l’Epc, “è semplice” sostenere la necessità di un breve rinvio “tecnico”, dato che servono diversi provvedimenti di legislazione primaria, e parecchi di legislazione secondaria, per attuare la Brexit, e il Parlamento britannico è in ritardo: sui circa “600” provvedimenti di legislazione secondaria necessari, ne sono stati approvati, al 21 febbraio, solo “192”. Pertanto, “il consensus generale è che un un’estensione tecnica sarebbe piuttosto semplice da concordare”.

Anche se i britannici dovessero decidere di tenere un secondo referendum o nuove elezioni politiche “occorrerebbe più tempo”. Se i Comuni bocceranno ancora l’accordo proposto dalla May, una proroga della Brexit consentirebbe di “guadagnare tempo”, dando spazio al Regno Unito per decidere il da farsi. Anche se la May non ha escluso l’eventualità di chiedere un rinvio, “è tutt’altro che certo” che lo farà, né si sa, nel caso, “quando” lo chiederà, nota l’Epc. Se la May dovesse chiedere un rinvio, è probabile che l’Ue non rifiuterebbe la richiesta, anche per evitare di essere considerata “responsabile” del caos che seguirebbe ad una Brexit ‘dura’, ma “un’estensione oltre la data delle elezioni europee (23-26 maggio) sarebbe rischiosa per l’Ue, per diverse ragioni”.

Prima di tutto, spiega l’Epc, perché comporterebbe “quasi certamente” che il Regno Unito, Paese membro, dovrebbe partecipare alle elezioni europee ed eleggere i propri eurodeputati. Il che porrebbe un problema immediato: dei 73 seggi britannici che dovrebbero essere ‘liberati’ dalla Brexit, 27 sono stati redistribuiti (3 all’Italia), mentre 46 sono messi in serbo per ulteriori allargamenti. Se il Regno Unito dovesse partecipare alle europee, gli Stati assegnatari dei 27 seggi dovrebbero “rinunciarvi”, cosa che potrebbe essere “tecnicamente difficile”, perché comporterebbe passaggi legislativi nazionali e sarebbe politicamente problematico, dato che il Regno Unito potrebbe comunque uscire pochi mesi più tardi. Aggiungere i 73 seggi britannici ai 27 redistribuiti “comporterebbe un cambiamento dei trattati Ue”, perché verrebbe superato il numero massimo di eurodeputati previsto.

Inoltre, consentire ai britannici di partecipare alle europee potrebbe rivelarsi un clamoroso autogol, visto che il risultato potrebbe essere “un ulteriore aumento degli eurodeputati euroscettici”, già dati in crescita nei sondaggi, con “conseguenze sfavorevoli sull’equilibrio dei poteri nel Parlamento Europeo”. Non solo: le elezioni europee in Gran Bretagna si trasformerebbero in un “quasi referendum sul rapporto del Regno Unito con l’Ue”. Se l’estensione andasse “fino al” o addirittura “all’interno del prossimo Quadro finanziario pluriennale (2021-27)”, Londra dovrebbe contribuire ancora al bilancio Ue, cosa che porrebbe notevoli problemi interni nel Regno.

Concedere una proroga lunga, inoltre, toglierebbe all’Ue, e a Theresa May, “una leva per premere per avere un accordo adesso”, dato che i parlamentari britannici hanno davanti a sé una scelta “binaria: accordo, o un’uscita caotica senza accordo”. In più, farebbe apparire l’Ue come disperatamente alla ricerca di un modo di evitare il no deal, cosa che sarebbe “un regalo ai Brexiteers”. Infine, “prorogare l’articolo 50 non cambierebbe nulla riguardo alle opzioni fondamentali che il Regno Unito ha davanti a sé”. Un rinvio “cospicuo” non servirebbe ad altro che a “rimandare decisioni dolorose ma inevitabili”, con speranze “molto flebili di cambiare la decisione” di lasciare l’Ue. Per tutti questi motivi, secondo l’Epc, “è improbabile che l’Ue a 27 conceda al Regno Unito più di una singola proroga di qualche settimana, fino alle elezioni europee”.

Se l’Ue dovesse concedere davvero un rinvio più lungo, allora dovrà accettarne le conseguenze: “Perdita di leve per far pressione; benzina per le argomentazioni dei Brexiteers, secondo i quali non esiste alcun baratro; una campagna elettorale tossica nel Regno Unito per le europee; la riapertura delle discussioni con Londra su temi come il contributo finanziario al bilancio e il backstop”, la soluzione trovata per evitare il risorgere di un confine fisico sull’isola d’Irlanda. E potrebbe persino “aumentare la probabilità di un’uscita senza accordo”, alla fine. Dato che è “improbabile” che la Brexit non avvenga, “ne vale veramente la pena?”.