Cicalone fa luce sull’aggressione: “Ecco perché non ho reagito a calci e pugni”

L’aggressione subita nella metro di Roma continua a far discutere, e Simone Cicalone ha chiarito ai microfoni di Lavori In Corso ciò che è accaduto e le ragioni del suo comportamento. Un racconto dettagliato, minuto per minuto, che ribalta molte delle contestazioni arrivate sui social. Dalla scelta di non reagire ai colpi fino alla risposta ai critici: lo youtuber ricostruisce tutto con una linea chiara.

La scelta di non reagire

Cicalone parte dal primo istante, quando ha incassato il colpo iniziale: “Quando ho preso il primo pugno ho pensato che se mi fermavo e non reagivo non ci sarebbe stato motivo per colpirmi ancora“. La sequenza, però, non si è fermata lì: “Mi hanno colpito due volte in maniera sequenziale, poi mi sono spostato fino alla biglietteria sperando che smettessero. Lì è arrivato il calcio volante che mi ha buttato a terra e quando ero a terra mi hanno colpito alla testa“.
Perché non usare lo spray al peperoncino? “L’avevo, ma non l’ho usato per non creare panico: eravamo in metro, pieno di persone, e qualcuno si sarebbe potuto fare male”.

Le critiche: “Non sei un poliziotto”

Un ascoltatore contesta che il suo ruolo non sia quello di intervenire. Cicalone ribatte senza esitazioni: “Lui dice che non posso farlo, ma sta facendo il giudice lui, perché ha già deciso che non posso farlo”. Rivendica anche il rapporto con chi opera sul territorio: “Io parlo ogni giorno con polizia e carabinieri, nessuno mi ha mai contestato nulla. Sono stato anche in audizione alla Commissione Sicurezza e Periferie: se davvero fosse vietato, me l’avrebbero detto”.
E non risparmia una stoccata: “Quello che fa lui si chiama censura. Imporre agli altri cosa devono fare non è molto diverso da atteggiamenti che in passato tenevano gruppi ben noti”.

Rispetto, documentazione e deterrenza

L’ex pugile chiarisce la sua filosofia: “Io con i borseggiatori mantengo rispetto umano: se non stanno rubando, non li tratto male. Se rubano, segnalo”. E respinge la narrazione del “gruppo organizzato”: “Quel giorno ero da solo, con la mia videomaker Evelina che ha filmato tutto. Senza Angelica che è intervenuta, avrei preso altri colpi”.
Per lui il punto è semplice: “Chi usa violenza perché non vuole essere filmato ha la coscienza sporca, e lo stesso vale per chi li difende. La gente deve capire che documentare è legale”.

La solidarietà mancata

Cicalone allarga il discorso: “In metro ci sono 99 persone oneste e due disoneste, ma spesso sono proprio alcuni degli onesti a dire “non mi riguarda”. Sottolinea un problema culturale: «Gli ignavi esistono ancora oggi. Basta poco per aiutare: un cenno, un muro umano, una segnalazione”.
E attacca l’apatia diffusa: «Quando tocca a un turista, tutti si girano: non vogliono perdere tempo a fare una testimonianza». Una mancanza di partecipazione che lui ritiene pericolosa: “Se oggi nessuno aiuta un altro, domani nessuno aiuterà te”.