
L’iniziativa del Comune di Bologna, che distribuisce gratuitamente pipe per crack ai consumatori nell’ambito di un progetto di riduzione del danno, ha suscitato forti polemiche politiche. Aggiungendo uno sguardo clinico, Paolo Crepet ha giudicato l’approccio “limitazione del danno” incongruo e carente rispetto alla questione principale, ovvero le mafie e il mercato della droga.
Riduzione del danno: una strategia controversa
Il progetto prevede la distribuzione gratuita di circa 300 pipe in alluminio, con un costo di circa 3.500 euro, da parte di operatori di strada e dell’associazione Fuori Binario. L’obiettivo dichiarato è prevenire problematiche come sanguinamenti, tracheiti e infezioni, derivanti dall’uso di strumenti improvvisati o condivisi. L’iniziativa, già testata su scala ridotta, avrebbe mostrato effetti positivi come la riduzione del consumo e l’incremento delle richieste di aiuto per uscire dalla dipendenza.
Reazioni politiche: accuse di danno erariale e istigazione al consumo
Il centrodestra è insorto. Esponenti di Fratelli d’Italia hanno presentato un esposto alla Corte dei Conti, accusando il Comune di “incitazione al consumo e allo spaccio” e di aver commesso un danno erariale” con l’uso improprio di fondi pubblici. Da parte della Lega sono arrivate parole dure: “una scelta indegna”, che “favorisce lo spaccio e il degrado” nella città che un tempo rappresentava civiltà e cultura.
I limiti della riduzione del danno, secondo Crepet
Per Paolo Crepet, l’intervento bolognese rappresenta una scelta miope, che non affronta il cuore del problema: il traffico e il consumo di sostanze sempre più devastanti. “Il crack è una sorta di elettroshock”, ha affermato, “quindi non so come si faccia a pensare di aiutare in questo modo”. Secondo lo psichiatra, l’attenzione dovrebbe essere spostata verso il mercato che alimenta queste dipendenze: “Dietro alle droghe ci sono le mafie, pensavano che se la autocostruissero la droga?”.
Crepet richiama la sua lunga esperienza professionale per sottolineare l’inadeguatezza dell’approccio: “50 anni fa io lavoravo a Verona e cominciava l’eroina in città, a metà degli anni ’70. Probabilmente molti degli amministratori di oggi non erano nemmeno nati. Però almeno informatevi, fate qualcosa”.
E aggiunge: “Qualsiasi sostanza ha un effetto principale e un effetto collaterale. Gli effetti collaterali sono quelli che si vogliono contrastare, ma questo è per limitare i danni collaterali. Il problema è: vogliamo parlare anche di quelli principali o no?”
La resa davanti al mercato della droga?
Crepet mette in dubbio il messaggio sociale implicito in scelte di questo tipo: “Che cosa comunichiamo? Che non ci devono essere droghe? No, non mi pare si dica questo”, osserva con tono critico. “Si dà per scontato che il crack giri, che la cocaina giri, che le droghe sintetiche girino, e ci mettiamo pure un po’ di alcol che non guasta… E questi sono ovviamente dei mix esplosivi”.
Il vero nodo, per Crepet, è che il progetto suoni come una resa: “A questo disastro noi rispondiamo con un altro disastro, o dicendo ‘bandiera bianca, non ce la facciamo’? Mi pare abbastanza dichiarata”, afferma con amarezza. Secondo lo psichiatra, sarebbe fondamentale intervenire sul mercato, sull’accesso alla droga e sul degrado che la rende facilmente reperibile: “Controlliamo la velocità nei viali, ma non riusciamo a individuare i pusher in centro storico. Non sono nascosti nella Padania, sono lì, davanti a tutti”.
Infine, rivolge un ultimo affondo sulla miopia istituzionale rispetto ai giovani: “I consumatori reali sono molto giovani. Ci preoccupiamo dell’epatite? E allora preoccupiamoci anche del fegato dei ragazzini che vanno in coma etilico. Non sto cambiando discorso: sto dicendo che il problema è uno solo. Serve un approccio serio”.









