Di fronte alla tragedia che si protrae in Palestina, la musica si fa un unico, potente fronte: cantare sì, ma soprattutto ricordare e non voltarsi dall’altra parte. Un coro crescente di musicisti ha scelto di far vibrare le corde della coscienza collettiva. Cantanti, autori e band, alcuni con decenni di carriera alle spalle (altri giovani e affilati) stanno trasformando i loro concerti in palcoscenici di denuncia e memoria.

Dalle strade di Bristol a quelle di Dublino

La protesta musicale prende forma concreta in prima battuta con i Massive Attack, leggendaria band di Bristol, che ha lanciato un messaggio chiaro e urgente durante l’Open’er Festival in Polonia: “Free Palestine”, scandito dalle immagini di Gaza proiettate sul maxi-schermo. La stessa modalità è stata adattata anche al Todays Festival a Torino. Non parliamo solo di gesti simbolici. Oltre a questo, la band ha dato vita a un’alleanza internazionale di artisti (insieme a Brian Eno, Fontaines D.C., Young Fathers e Kneecap) per difendere chi rischia di essere messo a tacere per aver osato parlare di giustizia.

Proprio i Fontaines D.C. hanno portato questa battaglia nei festival più importanti d’Europa, come il Primavera Sound di Barcellona, dove una scritta sullo schermo ha ricordato a tutti che “Israel is committing genocide, use your voice”. Quel messaggio ha gelato la folla per un attimo prima di trasformarsi in un fragoroso applauso, segno di una solidarietà profonda. Da Roskilde a Istanbul non hanno mai nascosto il loro impegno, alzando bandiere palestinesi e invitando attivisti sul palco. “Se hai una voce, usala” ha ribadito il frontman Grian Chatten, “il silenzio è complicità”.

In Italia Ghali butta giù il muro di omertà

In Italia, la prudenza spesso domina il dibattito pubblico ma non mancano voci coraggiose. Ghali, rapper milanese di origini tunisine, ha fatto della sua musica un grido contro l’ingiustizia. Ricordiamo coma a Sanremo ha sussurrato un “Stop al genocidio” che ha scosso le mura dell’Ariston e acceso non poche polemiche. Con fermezza ha dichiarato: “Lo rifarei cento volte. Non posso ignorare quello che succede ai bambini di Gaza”. Durante Radio Italia Live in piazza Duomo ha chiesto un minuto di silenzio per le vittime palestinesi, momento di silenzio che ha parlato più di mille parole.

Il 18 settembre Firenze ospiterà un evento destinato a lasciare il segno: S.O.S. Palestina!, un concerto di solidarietà organizzato da Piero Pelù. Un palco condiviso da Afterhours, Emma Nolde, Ginevra Di Marco, e molti altri, tutti a titolo gratuito per sostenere Medici Senza Frontiere. L’immagine simbolo è stata creata da Zerocalcare.

Anche cinema e teatro a favore di un cessate il fuoco

Anche il cinema e il teatro italiani si sono mossi: Laura Morante ha firmato appelli per il cessate il fuoco e ha alzato la bandiera palestinese sul palco, ricordando che “la storia non ci assolverà se oggi tacciamo”. Da Palermo a Torino, la musica indipendente si è fatta sentire nelle piazze con flashmob e performance sotto il motto “La musica contro il silenzio”.

In un tempo in cui la neutralità è diventata spesso un rifugio, questi artisti hanno scelto di rischiare.
Le note diventano parole, le parole diventano schieramento e lo schieramento si traduce in azione concreta. Dai Massive Attack ai Fontaines D.C. passando poi da Ghali a Piero Pelù, il messaggio è stato chiaro: non si tratta di politica ma di umanità. La musica oggi è resistenza e non ha intenzione di tacere.

E gli altri?

Ma c’è chi invece preferisce un altro percorso. Un esempio è Lorenzo Jovanotti che al No Borders Music Festival ha scelto di non schierarsi apertamente. Davanti a cinquemila persone ha detto “io sono tifoso solamente per sostenere la pace, la tregua […] non ho niente di intelligente da dire” sulla guerra in corso a Gaza. Una frase apparentemente neutra che inneggia alla pace ma che ha acceso un vivace dibattito sui social, sottolineando quanto sia complesso il ruolo degli artisti quando si parla di conflitti così controversi.