Può apparire imperturbabile chi di turbamenti alimenta la propria carica agonistica, dialettica, finanche esistenziale? Non può. Nel caso di Luciano Spalletti, il concetto vale a maggior ragione quando la sua espressione, all’esterno, sembra non tradire emozione alcuna.

L’abbraccio con Anguissa, i convenevoli con Conte (che appare più rilassato, perlomeno davanti agli obiettivi), la camminata solenne verso la panchina…ha compresso in pochi istanti tutto il rito di quello che sembrava dover essere lo stillicidio interminabile del prepartita, fatto di momenti sospesi e col dubbio su quale sarebbe stato l’atteggiamento di quello che era il “suo” stadio, che lui aveva portato a festeggiare il terzo Tricolore dopo una pausa lunga quanto la vita terrena di Cristo. E allora ti viene in mente che i Lazzari felici che cantava Pino Daniele erano e restano tali proprio perché non li smuove nemmeno il passaggio di un secolo intero; figurarsi il ritorno di un allenatore.

Quell’ellisse di passioni che è il “Maradona” quando ti dà appuntamento non gli aveva lasciato margini per poter prevedere che trattamento gli sarebbe stato riservato: per questo, forse, ha voluto presentarsi allo stadio senza sentire l’odore della notte in città; perché il mare ti restituisce troppe cose; deposita sulla battigia tatuaggi di memorie per le quali è vietato provare imbarazzo. E, prima che la fuga di Neres sulla destra lo restituisse al presente di uno svantaggio, forse anche lui avrà detto a se stesso:

– E riest all’erta tutt’a nuttata
Pensanno addo’ si’ stato
Pensanno addo’ si’ stato -.

Paolo Marcacci