Non sempre parliamo di “fiscal drag”, cioè dell’aumento della pressione fiscale e del gettito dovuto alla crescita nominale dei salari per effetto dell’inflazione. Quando i redditi aumentano nominalmente, le aliquote progressive IRPEF si applicano a scaglioni più alti, determinando un drenaggio fiscale maggiore e riducendo il potere d’acquisto dei lavoratori. Negli ultimi anni sono stati rinnovati molti contratti collettivi rimasti fermi dal periodo del Covid: aumenti che hanno cercato di compensare l’inflazione, ma che, secondo alcuni, avrebbero prodotto proprio il cosiddetto fiscal drag.
Fiscal Drag – La tesi di Landini e la smentita della BCE
Questa è la tesi sostenuta dal leader della CGIL, Maurizio Landini, ma smentita da una ricerca della BCE, secondo la quale le riforme fiscali del 2022-2023 e la riduzione dei contributi sociali avrebbero di fatto azzerato questo prelievo sui redditi. L’aumento della pressione fiscale sarebbe quindi legato non al drenaggio, ma a una crescita reale dei salari, come confermato anche dall’Istat, pur senza un pieno recupero rispetto al periodo pre-Covid. Interessante, poi, il paragone con la Spagna, spesso lodata dallo stesso Landini: lì la pressione fiscale è aumentata di quattro punti, superando la media OCSE, a causa della mancata indicizzazione dell’IRPEF. In Italia, invece, l’incremento si misura solo in decimali.
Il vero nodo: la produttività
Il vero tema, dunque, non è il fiscal drag ma la produttività del lavoro, cioè il valore aggiunto per ogni occupato. E qui bisogna chiarire un equivoco: la produttività non è la causa primaria dei salari fermi, ma un effetto. Essa dipende dagli investimenti, che a loro volta derivano dalle prospettive di domanda effettiva e dai salari disponibili per la spesa. Se questi rimangono stagnanti, le microimprese, che rappresentano il 95% del tessuto imprenditoriale italiano, faticano a investire, ad aumentare l’intensità del capitale e a crescere dimensionalmente.
La ricetta giusta: investimenti, meno tasse e meno burocrazia
In sintesi, ciò che manca nell’analisi della CGIL è la consapevolezza che serve sostenere gli investimenti delle imprese, ridurre la pressione fiscale su chi produce, e liberarle dai vincoli burocratici che ne frenano la competitività. Solo così si potranno far crescere i salari reali, ma questo sarà possibile solo se crescono prima gli investimenti, la produttività e la capacità delle imprese di generare reddito.










