Il commercio internazionale è da sempre la linfa vitale dell’economia italiana. In un Paese con una base produttiva fortemente orientata all’export, la salute delle esportazioni si traduce in crescita, investimenti e occupazione. Se da un lato il mercato del lavoro sembra reggere (pur con alcune criticità) dall’altro la dinamica degli scambi internazionali mostra segnali di debolezza che rischiano di compromettere il percorso di crescita del Paese.

La frenata delle esportazioni e il peso della competizione

A pesare è soprattutto la crescente competizione internazionale. Le esportazioni italiane hanno subito una battuta d’arresto verso gli Stati Uniti, in parte a causa delle politiche commerciali protezionistiche adottate da Washington. Tuttavia, è importante ribadire che il principale “dazio” che paga oggi l’economia italiana è rappresentato dall’appartenenza all’Unione Europea. Lo sanno bene gli imprenditori, soprattutto quelli medio-piccoli che non fanno politica, ma vivono il mercato ogni giorno.

Diversificare per crescere

Oggi più che mai è necessario affrontare sfide cruciali: tra queste, la diversificazione dei mercati per ridurre la dipendenza da pochi Paesi extra-UE. Serve rafforzare la presenza italiana in aree emergenti a forte dinamismo come il Sud-est asiatico, l’Africa e l’America Latina. Per riuscirci, però, è necessario affrancarsi dalla subalternità nei confronti dell’Unione Europea e degli Stati Uniti.

Tradizione e valore: l’identità dell’impresa italiana

Per competere sui mercati non è indispensabile puntare solo su prodotti ad alto valore aggiunto, tecnologici e sostenibili – anche se servono investimenti mirati in tal senso. La verità è che oggi il mondo chiede anche prodotti tradizionali, e l’Italia eccelle proprio in questi settori, in particolare nella manifattura.

Molti giornalisti sembrano dimenticare che l’economia italiana non è fatta solo di innovazione digitale o di startup hi-tech: è ancora oggi fortemente ancorata a settori tradizionali. Lo vedo quotidianamente con le aziende che seguo in consulenza: la stragrande maggioranza non è high-tech, ma è competitiva proprio grazie alla qualità, all’artigianalità, alla resilienza imprenditoriale.

Meno burocrazia, più strategia

Per rafforzare la competitività internazionale, è fondamentale non soffocare le imprese con la burocrazia. Quando leggo che molte PMI faticano ad affrontare mercati complessi, e che serve rafforzare strumenti come il credito all’export e i servizi di internazionalizzazione, sono pienamente d’accordo.

Ma ciò che serve davvero sono piani strategici ben costruiti, non soluzioni improvvisate. E soprattutto, serve che la politica faccia un passo indietro. Come diceva un mio amico politico: il meglio che puoi aspettarti da un politico è che non ti rompa le scatole.

Malvezzi Quotidiani – L’Economia Umanistica spiegata bene con Valerio Malvezzi