Un intervento apparentemente di routine si trasforma in una tragedia per una famiglia romana. 14 anni dopo ancora il nulla.
Un uomo di 70 anni entra in ospedale per un intervento relativamente semplice: un’ernia ombelicale. Soffre di cuore, ha un principio di diabete. Eppure, invece di essere sottoposto all’operazione prevista, viene eseguita su di lui una riduzione dello stomaco, un intervento ben più invasivo, sconsigliabile in un quadro clinico così delicato.

“Si è trattato di un errore medico reale. Mio padre non avrebbe mai dovuto subire quell’intervento”, racconta Enrico. È entrato per un’ernia, e gli hanno ridotto lo stomaco. Aveva 70 anni, una condizione cardiovascolare già compromessa e il diabete. In quella situazione, non avrebbe mai dovuto nemmeno essere preso in considerazione un intervento del genere.”

Pochi giorni dopo l’operazione, le condizioni si aggravano rapidamente. Il paziente va in coma e, dopo essere stato trasferito in un’altra struttura, muore un mese più tardi.
“La cosa ancora più grave è che l’ospedale dove è stato operato non aveva nemmeno una sala di rianimazione. Un ospedale che esegue interventi così delicati dovrebbe essere attrezzato. Non lo era. Questo ha certamente influito sul peggioramento del quadro clinico.”
Da quel giorno, la famiglia inizia un lungo percorso fatto di dolore, domande e ricerca di giustizia. Un processo che ancora oggi, dopo più di dieci anni, non si è concluso.

Non vendetta, chiarezza

“Quando ci si rende conto che c’è stato un errore, cosa si fa? È giusto chiedere che venga data una spiegazione. Mia madre dice: ‘Qualcuno deve pagare per questo.’ Ma la verità è che non cerchiamo vendetta. Cerchiamo solo che venga riconosciuta una responsabilità.”

La svolta arriva per caso. Il fratello, ascoltatore di Radio Radio, sente parlare dello Sportello Legale Sanità. Si rivolgono a questo servizio e iniziano finalmente a essere seguiti da un team di avvocati e professionisti capaci non solo sul piano legale.

“Il sostegno che ci hanno dato è stato fondamentale. Ci hanno ascoltati, capiti, fatti sentire accolti. In quei momenti non è facile nemmeno raccontare ciò che è successo. Per me è stato difficile, ma ancora di più lo è stato per mia madre. Dopo 50 anni di matrimonio, da un giorno all’altro, si è trovata senza la metà della sua vita.”

Ma c’è un altro dolore che accompagna la famiglia: i tempi lunghissimi della giustizia italiana. Dopo 11 anni, la prima causa è stata vinta, ma ora è in corso un appello.
“Mia madre aveva 63 anni quando è iniziato tutto. Oggi ne ha 78. E ogni mattina si sveglia dicendo: ‘Non voglio morire prima di sapere come finirà questa storia.’ È un peso enorme.”

La richiesta non è un risarcimento, ma chiarezza. Dare un nome all’errore e far sì che chi l’ha commesso se ne assuma la responsabilità. “Non è una questione economica. Non ci interessa quanto può valere un risarcimento. Vogliamo solo sapere che, se c’è stato un errore, venga riconosciuto. Anche i medici sono esseri umani e lo sappiamo, il problema è che l’errore venga coperto. E’ l’unico modo per chiudere una porta che da troppo tempo è rimasta aperta, con un enorme punto interrogativo.”