In Italia, la gestione degli errori giornalistici non è solo una questione morale, ma rappresenta un dovere professionale sancito dalla deontologia. Ogni giornalista, quando commette un errore, è tenuto a informare tempestivamente i lettori dell’inesattezza e a correggere la notizia, adottando forme adeguate di rettifica che siano altrettanto visibili della notizia originaria.

Secondo l’articolo 8 del Testo unico dei doveri del giornalista, la correzione deve essere trasparente, immediata e mai ambigua: il lettore deve facilmente capire dove l’articolo sbagliava e in che modo la nuova formulazione ripristina la verità dei fatti.
Correggere un giornalista significa ricordargli che l’obiettivo non è preservare l’orgoglio o la reputazione personale, ma rispettare il pubblico, la verità e la fiducia nei media. Spesso, però, si assiste a pratiche elusive: si modifica il testo in silenzio, si inserisce una precisazione poco visibile o, peggio, si fa finta di nulla. Tutto, ovviamente, mina in modo quasi irreparabile il rapporto di fiducia tra chi informa e chi viene informato.

“Picchi… sulle superfici”

Prendiamo ad esempio il filone del “caldo killer” che ci attanaglia in prima pagina da inizio giugno. Dopo una segnalazione mediaticamente rilevante arrivata dal Senato da parte di Claudio Borghi (che ha anche segnalato un titolo fuorviante sul numero di morti alle autorità), la situazione non è cambiata: panico quando non vero e proprio allarmismo sono il sottotesto di certi titoli che, a volte, scivolano su una buccia di banana.
Il recente caso che ha coinvolto “La Nuova Ecologia” è emblematico: il mensile, in un articolo dedicato all’ondata di calore, ha pubblicato il titolo “picchi di 85 gradi a Milano”, suscitando sconcerto e reazioni. Qualcuno ha probabilmente fatto notare l’assurdità della cifra, ma la rettifica non è stata chiara né trasparente: invece di correggere il dato e spiegare l’errore, è stata semplicemente aggiunta al titolo la frase “picchi sulle superfici”, senza alcuna segnalazione visibile della modifica né spiegazione dell’errore originale. Così facendo, un dato fuorviante resta agli archivi, mentre la responsabilità del giornale viene aggirata senza affrontare realmente la questione di onestà intellettuale richiesta dal mestiere. Trattasi del più recente ma, probabilmente, non l’ultimo dei casi.

In tutto questo, la palla dovrebbe passare alle autorità regolatorie — dall’Ordine dei Giornalisti al Garante per la Comunicazione — restano in silenzio. Una maggiore vigilanza e interventi tempestivi sarebbero necessari non solo per punire, ma soprattutto per educare e ribadire il valore di una stampa libera, autorevole e responsabile.

Ascoltate nel video l’editoriale di Fabio Duranti a ‘Un Giorno Speciale’.