Torniamo a parlare delle direttive europee in materia di sostenibilità aziendale. In Europa stanno emergendo forti contrasti riguardo alle normative ESG, in particolare intorno a due direttive chiave: la CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) e la CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive).
Dopo diversi rinvii, le tensioni tra gli Stati membri si sono intensificate. Le direttive, considerate da molti eccessivamente complesse, sono percepite come un fardello per le imprese, al punto da essere definite da alcuni come ‘fantasmi ambulanti’ della burocrazia europea.
Francia e Germania contro la CSDDD, la Danimarca dice no
Un fronte critico si è formato attorno alla CSDDD, che impone alle grandi aziende l’obbligo di monitorare le proprie catene di approvvigionamento globali per prevenire violazioni dei diritti umani e danni ambientali. Francia e Germania (rappresentate dal presidente Emmanuel Macron e dal cancelliere Friedrich Merz) si sono espresse per l’abolizione completa della direttiva, chiedendo non solo una proroga dell’applicazione, ma anche la sua definitiva cancellazione.
A questa posizione si oppone fermamente la Danimarca, il cui ministro per il clima e l’energia ha dichiarato che il proprio Paese non appoggerà alcuna revisione della CSDDD. Secondo Copenaghen, l’Unione Europea dovrebbe concentrarsi sull’attuazione delle normative già concordate, piuttosto che smantellarle. Il ministro ha anche osservato che posticipare l’applicazione delle regole favorirebbe le aziende, non i cittadini, portando a uno squilibrio pericoloso. Ha fatto l’esempio di un’impresa danese del settore logistico che ha già investito un milione di euro per mappare oltre 700 metriche di conformità.
Due visioni d’Europa: flessibilità o rigore sulle regole ESG?
Il tono del dibattito si è fatto acceso: da un lato c’è chi accusa Bruxelles di alimentare uno scontro tra la produttività economica e la difesa dei diritti, sostenendo che si stia mettendo in pericolo il tessuto industriale europeo in nome di un’ideologia poco concreta. Dall’altro, c’è chi vede in queste regole un passo essenziale per un’economia più etica e sostenibile.
Vale la pena notare che la Danimarca ha introdotto già dal 2017 un proprio modello di due diligence sui diritti umani e sull’ambiente, che ha permesso alle imprese locali di adeguarsi meglio ai nuovi standard europei. Tuttavia, il confronto ha anche acceso interrogativi sulla dimensione economica: quanto incide il PIL danese rispetto a quello di colossi come Francia e Germania?
La frattura tra gli Stati membri riflette due visioni opposte del ruolo dell’UE nella regolamentazione della sostenibilità: chi auspica maggiore flessibilità e chi invece sostiene un’applicazione rigorosa. Intanto, il malcontento cresce soprattutto tra le piccole, medie e micro imprese, che faticano a stare al passo con l’ondata di burocrazia.
Come già anticipato da alcuni osservatori, si sta assistendo a una vera e propria inversione di tendenza: le direttive ESG, pensate per guidare un cambiamento sostenibile, rischiano ora di trasformarsi in una trappola burocratica sempre più difficile da gestire.
Malvezzi Quotidiani – L’Economia Umanistica spiegata bene con Valerio Malvezzi