Negli ultimi anni, sempre più giovani stanno scegliendo di intervenire sul proprio aspetto ricorrendo alla chirurgia estetica o a trattamenti cosmetici non invasivi, come filler, botox o rinofiller.
Questo trend è particolarmente evidente tra i membri della Generazione Z e della più giovane Generazione Alpha, ragazzi e ragazze che spesso non hanno ancora raggiunto la maggiore età. Se un tempo la chirurgia estetica era considerata qualcosa di “adulto”, oggi sta diventando un’opzione valutata già a partire dall’adolescenza.
Il ruolo dei social media
Alla base di questo fenomeno c’è un cambiamento culturale profondo, legato anche all’evoluzione del nostro rapporto con l’immagine. I social media – in particolare TikTok, Instagram e Snapchat – giocano un ruolo centrale: promuovono un’estetica precisa, levigata, potenziata da filtri che correggono ogni imperfezione, dalle occhiaie alla forma del naso. Il problema è che questi standard diventano così diffusi da sembrare naturali, normali, desiderabili. Si parla sempre più spesso di dismorfismo da filtro: una percezione alterata di sé, in cui la propria immagine reale viene vissuta come “inadeguata” rispetto a quella digitale, perfettamente ritoccata.
Ma non si tratta solo di apparenza. Il desiderio di “migliorarsi” spesso nasconde bisogni psicologici più profondi: la ricerca di approvazione, il bisogno di sentirsi accettati, il timore di non essere abbastanza. In un mondo dove l’identità è sempre più costruita attraverso lo schermo, il confine tra ciò che siamo e ciò che mostriamo si fa sottile. E la pressione ad apparire sempre perfetti, anche offline, può diventare schiacciante.
A questo si aggiunge una maggiore accessibilità: oggi i trattamenti estetici sono meno invasivi, più rapidi e meno costosi rispetto al passato. In molti casi vengono proposti come ‘ritocchi leggeri’, quasi parte di una routine di cura di sé. Ma proprio questa normalizzazione solleva interrogativi etici e sociali: fino a che punto è davvero una scelta libera? Quanto pesa il condizionamento culturale e digitale?
Il dibattito è aperto. Alcuni parlano di una nuova forma di espressione individuale, altri di una fragilità collettiva alimentata da modelli tossici di bellezza. Quel che è certo è che la trasformazione del volto, per molti giovani, non è solo una questione estetica: è il riflesso di una società che guarda (e giudica) sempre più attraverso uno schermo.
Il commento in diretta di Renate Holzeisen
“Trovo di un’enorme tristezza questa cosa cioè vedere queste ragazze giovanissime con queste labbrone che seguono tutti un format e non hanno la loro naturale individualità perché la gioventù in sé (e questo lo dico da donna che ha quasi 60 anni) è una caratteristica che è bella. Dunque mettere le mani in quell’età, se non c’è proprio la necessità per esempio per un infortunio oppure altre gravi malformazioni che ovviamente ci possono essere però qua vediamo appunto la volontà di corrispondere ad un ‘ideale’ che tra l’altro io lo trovo bruttissimo è qualcosa che è di una enorme tristezza e dimostra anche come sono manipolabili. Non hanno questa consapevolezza del proprio valore, della propria individualità e che alla fine la bellezza, e questo lo dico anche da donna che ha quasi 60 anni, col passare degli anni arriva sempre più da dentro“.










