Un colosso europeo che chiede di poter spendere 900 miliardi per riarmarsi non passa mai inosservato, soprattutto se quel colosso si chiama Germania.
Berlino ha chiesto ufficialmente alla Commissione europea una deroga ai vincoli del Patto di stabilità per finanziare un piano di riarmo senza precedenti, puntando a escludere le spese militari dai calcoli sul deficit e sul debito pubblico. La richiesta, che prevede investimenti fino all’1,5% del PIL annuo per quattro anni, è stata motivata dalla necessità di rafforzare la difesa nazionale e rispondere alle crescenti minacce geopolitiche, in particolare la guerra in Ucraina e la pressione degli Stati Uniti sugli alleati europei.
La narrazione ufficiale tedesca insiste sulla necessità di un esercito forte “non per condurre una guerra ma per evitarla”, come ha dichiarato il presidente Steinmeier. Tuttavia, dietro la retorica della sicurezza collettiva, la portata del piano solleva più di un interrogativo. I 900 miliardi previsti rappresentano una cifra monstre, pari al doppio del bilancio federale annuale, e richiederanno un ricorso massiccio al debito, tanto da aver imposto una modifica costituzionale che ha visto coinvolti i parlamentari uscenti piuttosto che i nuovi eletti, aggirando così un possibile stallo politico dovuto all’avanzata dell’estrema destra e della sinistra radicale in Parlamento.
La fretta tedesca di ottenere il via libera europeo, prima ancora che il nuovo governo sia ufficialmente in carica, lascia trasparire una volontà di imprimere una svolta non solo alla politica di difesa, ma anche all’economia industriale interna. Non è un mistero che il settore automotive, in crisi da anni, guardi con interesse alla riconversione verso la produzione di armamenti, con partnership già pronte e catene di montaggio in attesa delle commesse statali.
La Germania si propone come capofila di una nuova stagione di riarmo europeo, ma la sua richiesta di deroga rischia di aprire una pericolosa corsa agli armamenti e una gara a chi saprà meglio piegare le regole comuni alle proprie esigenze. Non a caso, dopo Berlino, altri 15 Paesi UE hanno presentato domanda per sospendere il Patto di stabilità e aumentare la spesa militare, segno che la linea del rigore comunitario vacilla davanti alle pressioni nazionali.
Il rischio è che la deroga tedesca, giustificata dall’emergenza, diventi il nuovo standard, minando la credibilità delle regole fiscali europee e alimentando tensioni tra chi può permettersi maxi-investimenti e chi invece dovrà accontentarsi delle briciole. In un’Europa dove la solidarietà è spesso evocata più che praticata, la fuga in avanti di Berlino rischia di lasciare indietro proprio chi avrebbe più bisogno di un’Unione davvero coesa, sia nella difesa che nella gestione delle finanze pubbliche.
Fabio Duranti ne ha parlato con l’economista Antonio Rinaldi a ‘Un giorno speciale’ (VIDEO)