Un gioco di prestigio non va mai spiegato: è l’apostrofo apparentemente innaturale tra l’istante che lo precede e quello immediatamente successivo. Il replay quasi gli manca di rispetto, vivisezionando il gesto tecnico un frame dopo l’altro.
Siamo tutti Henderson, nel momento in cui Khephren Thuram passeggia sul pallone un istante dopo aver piazzato lo scatto sul lato sinistro, perché tra suola e tacco dell’avversario lo scozzese dell’Empoli si guarda attorno con l’aria di uno al quale sono appena cadute le chiavi di casa in un tombino.
Il pareggio, fantasmagorico, sembra cancellare in un giro di tacchetti piumati tutta la partita che c’era stata attorno, ovvero la prova faticosa di una Juventus che nel primo tempo si era smarrita dentro la propria foschia tattica ed era stata poi zavorrata da una serie di errori tecnici individuali, a cominciare dall’ occasione nitida divorata da Nico Gonzalez.
Il vantaggio trovato dall’Empoli con il destro, potente e millimetrico, di Maleh, era stato una secchiata d’acqua gelida che non aveva, però, svegliato subito Madama; son serviti i cambi: Yildiz per Koopmeiners, Locatelli per Kelly, rima a parte, Conceicao per Gonzalez e Alberto Costa per Cambiaso. Regia più nitida e pressione vivace sulla trequarti, con Vlahovic che vive la ricerca del 2-1 quasi con angoscia. La stessa con cui dal dischetto scaglia il pallone quasi oltre lo stadio, per questo formato che non ammette code supplementari ma soltanto verdetti immediati.
L’Empoli, compreso un Henderson di nuovo cosciente, li mette tutti alle spalle di Perin, mentre sbaglia pure Yildiz e alla fine è giusto così, nel silenzio dello Stadium che fa echeggiare l’impotenza juventina ancora più delle esultanze empolesi.