Un’Inter giallo canarino nella morsa scarlatta di uno stadio monumentale; una squadra che non può sprecare un solo attimo per il tentativo di ritrovare se stessa, riconoscendosi nel proprio valore, messo in dubbio dai più nel frattempo, nella serata fino a oggi più difficile della stagione.

Serviva una partita perfetta, stasera, a livello corale ma passando per una serie di duelli individuali che era obbligatorio vincere, a livello strategico. Simone Inzaghi è arrivato a Lisbona senza la benché minima possibilità di sbagliare alcuna scelta, con gli ultimi granelli della fiducia nei suoi confronti già in caduta nella clessidra societaria. Quasi come uno che non aveva già più nulla da perdere.

In una città di navigatori che hanno sfidato l’Atlantico per secoli, l’Inter ritrova l’approdo per il riconoscimento della propria autostima, troppe volte calpestata dai tacchetti dei suoi stessi protagonisti, smarritisi a più riprese nel corso della stagione.
Sin dai primi minuti, un Barella finalmente lucido timoniere ha pilotato l’occupazione sistematica della metà campo altrui, mentre attorno gli fioriva il sacrificio dei tanti che tanto avevano da dimostrare, come il Lautaro versione faticatore a recuperar palla in mezzo o il Brozovic inesauribile e tecnicamente ineccepibile, passando per un Mkhitaryan che ha rasentato la perfezione e un Dumfries che a vederlo sembrava di sentire le note di Guccini per “La locomotiva”.

C’è stato, però, uno che stasera ha vinto più degli altri, perché aveva perso quasi tutto, come abbiamo già scritto: Simone Inzaghi, che ha devoluto ai suoi giocatori i suoi meriti per averla preparata alla perfezione.

Paolo Marcacci