Il Festival della canzone italiana è, per fortuna sottolineo, terminato e si possono allora svolgere alcune telegrafiche considerazioni, ribadendo ciò che più volte abbiamo detto, cioè il fatto che se ci interessiamo del Festival di Sanremo lo facciamo in chiave francofortese, potremmo dire sulla scorta delle considerazioni di Adorno e Horkheimer sulla e contro la civiltà tecno capitalistica e quella sua parte essenziale che è l’industria culturale, ossia il luogo di propaganda ideologica mediante lo spettacolo. E questo è in effetti Sanremo, come più volte abbiamo evidenziato.

Sì, perché Sanremo, il Festival della canzone italiana che nacque nobilmente come kermesse volta a premiare le più belle canzoni italiane, oggi è divenuto ben altro. Sostanzialmente le canzoni sono solo la cornice al cui interno il centro della scena è occupato dalla propaganda ideologica di completamento del nuovo ordine mondiale turbo capitalistico. Ed è proprio ciò che è andato in onda in queste serate all’Ariston di Sanremo. Alcuni elementi, quindi, essenzialmente ideologici e ben riconoscibili. Anzitutto la serata conclusiva con il dispaccio del guitto Zelensky, attore nato con la N maiuscola, letto in mondovisione. Un dispaccio propagandistico inqualificabile, inqualificabile quasi quanto la scelta di mandarlo in onda con il servizio pubblico e con una propaganda davvero da fare invidia ai regimi novecenteschi. In sostanza, il guitto ha ribadito le ragioni della guerra, identificando tutto genere l’Ucraina con il mondo libero e di fatto lasciando intendere che l’Italia è dalla parte giusta e deve continuare in questa opera scellerata di guerra.

Ma non è stato questo senz’altro, il solo momento ideologico del Festival della canzone italiana. Che dire allora dell’esibizione di Blanco sul palco che ha devastato tutto, compresi i fiori, simbolo di eccellenza, di bellezza, di armonia. Emblema dunque dell’ideologia, della deregulation, dell’ordine quanto classica dei mercati, dove ogni limite deve essere superato e dove tutto deve essere dissolto in nome della valorizzazione dei valori. La società capricciosa, la selfie generation di Blanco o in altro modo di Ferragni che legge una lettera di se stessa a se stessa in una sorta di trionfo dell’ego meringata che cresce vorticoso su se stesso, direbbe Max Stirner, l’unico e la sua proprietà. E poi, naturalmente, l’attacco diretto contro l’Iran, inteso come paese di non libertà, come dispotismo. Di fatto l’Iran, sappiamo, in quanto non allineato con Washington, viene reso oggetto costante di bersagli da parte della propaganda. Quella stessa propaganda che curiosamente nulla dice contro l’Arabia Saudita. Chissà perché.

E poi ci sono state immancabili le molteplici, incalcolabili scenette di diffusione del nuovo ordine erotico, di completamento della deregulation dei mercati, il pansessualismo che riduce tutti ad atomi di consumo, a macchine desideranti, direbbe Deleuze. Abbiamo visto allora Fedez baciarsi con un altro cantante, abbiamo visto il transgenderismo militante. Come ogni anno sul palco di Sanremo, abbiamo visto la celebrazione ininterrotta della deregulation erotica coessenziale alla civiltà dei mercati. Insomma, possiamo dirlo con più convinzione di quando tutto cominciò qualche giorno addietro. Sanremo è e resta un fortilizio fondamentale della diffusione del pensiero unico politicamente corretto, che si diffonde tanto meglio quanto più riesce a conquistare luoghi apparentemente dedicati ad altro rispetto al pensiero politico, come appunto il Festival di Sanremo. Lì la propaganda riesce a ottenere i suoi migliori risultati e infatti Sanremo sicuramente si può leggere anche e non secondariamente, secondo questa chiave ermeneutica