Allora fermi tutti, diciamo a noi stessi scrivendo, cancellando e riscrivendo il finale. Vibrante più che semplicemente rocambolesco, come rocambolesco era stato il lampo nel buio con il quale il rimbrottato (da Guardiola) Mahrez aveva confezionato il vantaggio dei Citizens.
Ma una cosa va precisata: pur essendo passato in svantaggio, il Real aveva iniziato la partita dimostrando di essere entrato con la testa e la lucidità giuste, a fronte di un City contratto e teso, molto meno fluido rispetto al solito, nel palleggio e nel fraseggio. 

Guardiola al termine della semifinale di andata aveva mostrato grande rammarico per le tante occasioni sprecate dai suoi: aveva tutte le ragioni, lui sempre e per sempre nemico al Bernabeu, perché aveva messo in conto sia il “Miedo escenico” del Bernabeu che i suoi avrebbero prima o poi accusato, sia la loro frustrazione, il più ghiotto dei nutrimenti per il Real Madrid in questo tipo di finali di partita.  

Balbettano tentativi di portarsi sul 3 – 2 gli inglesi nel finale, ma davanti al trono di Re Carlo ogni titubanza doveva essere bandita sin dall’inizio. Perché alla fine ciò che ancora il City potrebbe tentare, lo mastica il Bernabeu, sputando la buccia vuota di ciò (non) rimane del cosiddetto tempo effettivo, evaporato in alto verso quelle gradinate così spioventi, dove la qualità e tutte le ricchezze del mondo possono accusare le vertigini della Storia. 

Paolo Marcacci