Un sogno chiamato Manchester United. Federico Macheda e Davide Petrucci hanno avuto l’onore e il piacere di calcare il palcoscenico unico della Premier League con la maglia dei Red Devils.

Due talenti capitolini al fianco di campioni senza tempo come Ferdinand, Scholes, Rooney, Giggs e Cristiano Ronaldo. Una favola diventata realtà nella fase iniziale della loro carriera. Oggi i due figli della Capitale hanno seguito strade diverse: il primo (Macheda) veste la maglia del Panathinaikos in Grecia, il secondo (Petrucci) si trova in Serie B con il Cosenza.

Macheda e Petrucci si sono raccontati nel consueto appuntamento con Food Sport in compagnia di Stefano Raucci, Francesco Di Giovambattista ed Enrico Camelio.

Com’è la vita dentro e fuori dal campo con il Panathinaikos per Macheda?

Fuori dal campo la vita è bellissima. Perché vivi in una città importantissima della Grecia come Atene. Hai veramente tutto: il mare e un Paese fantastico. Anche in campo si sta alla grande. Il campionato greco è un bel campionato. La società è molto importante e strutturata, con una storia pazzesca alle spalle, ha avuto qualche difficoltà negli ultimi anni ma adesso le cose stanno tornando nella direzione giusta. Nei prossimi anni penso che possa tornare a far parlare di sé”.

Possibile un ritorno in Italia per Macheda?

“Non so, mai dire mai. In B però non ci tornerei. Adesso ho trovato una realtà talmente bella che se dovessi lasciare questo posto, per andare in un campionato cadetto, non lo farei. Dopo varie esperienze negative, a livello personale, qui ho ritrovato fiducia in me stesso”.

L’arrivo nel paradiso dell’Academy del Manchester United

Petrucci: “Quando parti con così tanta pressione sulle spalle poi non è facile mantenere certi standard, anche perché si parla sempre di ragazzi di 15-16 anni. Probabilmente io avrei potuto fare di più, e da me ci si aspettava di più. Poi in realtà ti accorgi che la carriera è piena di imprevisti, ci sono scelte ti possono cambiare in positivo o in negativo, che delineano la tua strada. Dal punto di vista umano è un bagaglio talmente ricco e quindi non posso non considerarlo formativo”.

Macheda: “Per me il primo giorno è stato un disastro. Arrivai a 16 anni, mi misero dentro una casa famiglia, in piena estate e lì diluviava. Poi però dal giorno successivo ho iniziato gli allenamenti e vidi una realtà totalmente diversa da quella che vivevo alla Lazio. Il gol all’esordio con l’Aston Villa fu istintivo. In quel match abbiamo tentato il tutto per tutto per ribaltare lo svantaggio”.

La verità di Petrucci sul trasferimento da Roma all’Inghilterra

“La verità è che io sono romano e romanista, molto legato alla città e al quartiere di San Basilio. In realtà quello che c’è rimasto veramente male sono stato io. All’epoca ero nel giro delle nazionali e si vociferava l’interesse di squadre estere. Allora mio padre, che voleva che rimanessi a Roma, chiese se era possibile fare un contratto, il minimo federale. La società rispose di no. Poi ci furono altre voci e loro dissero che non rientrava nella politica societaria. Mio padre a quel punto disse: ‘Se arriva un’offerta?’ – loro risposero: ‘Ci prenderemo il premio preparazione’. Dopo il Manchester ha fatto sul serio facendo l’offerta. Per me fu la posizione della società giallorossa a non piacermi, perché il mio sogno era giocare nella Roma e stare lì più tempo possibile. Mi resi comunque conto che il Manchester era un’opportunità così grande, un trampolino di lancio per la mia carriera. Poi mio padre non è mai venuto a fare il giardiniere a Manchester, come invece molti hanno scritto”.

Il primo incontro con il mito Alex Ferguson

Petrucci: “La cosa che mi impressionò fu la sua capacità, stando poco in campo negli allenamenti, di controllare tutto. Sembrava distratto a volte, ma aveva tutto in pugno. Lui dimostrava un carisma impressionante, anche solo quando ti parlava o si muoveva. Ti trattava come fossi un campione e ti metteva allo stesso livello di Ronaldo, Tevez o Rooney”.

Macheda: “Lo incontrai il giorno dopo del mio arrivo. La persona che ci portò al centro sportivo ce lo presentò subito, per farci sentire a nostro agio, dove fanno tutti colazione vicino. Si presentò e per me fu una cosa magnifica perché nel settore giovanile della Lazio ci allenavamo addirittura in un altro posto. Vedere la vicinanza di questi campioni è stata una cosa molto affascinante”.

La forza magica dello spogliatoio del grande Manchester United

Macheda: “I successi dello United in quegli anni veniva proprio dallo spogliatoio. Perché c’era un gruppo veramente umile con calciatori fantastici. Erano tutti pronti a sostenerti e ad aiutarti, da Giggs a Rooney fino a Scholes. Poi c’erano Evra e Ferdinand che erano due bei personaggi. Magari fuori qualche giocatore, come Ronaldo poteva sembrare arrogante, ma anche lui era veramente alla mano e ti parlava. Era una cosa inaspettata, stiamo parlando di giocatori che hanno fatto la storia del calcio.”

Petrucci: “Mi impressionò la qualità di Scholes. Paul Scholes era il calcio per me, non sbagliava neanche un passaggio. La qualità di tutti era appunto l’umiltà. Ricordo che Rio Ferdinand mi dava tantissimi consigli, ci scrivevamo col telefono. Addirittura una volta era Capodanno e io gli chiesi: ‘Rio che posso fare stasera? Tu che sei di qua puoi indicarmi qualcosa’ – lui mi ha detto: ‘Vieni con me’. Questa cosa ora cerco di farla io con i giovani”.