I tamponi sono ormai da un anno gli strumenti impiegati per condurre la caccia agli asintomatici. Se è vero che gli asintomatici possono essere stanati per il tramite dei tamponi, ne segue che senza i tamponi gli asintomatici restano per definizione invisibili. E dunque non possono essere classificati come contagi.

La conseguenza è che se si eseguono molti più tamponi emergono molti più casi di contagiati. E se ci si limita in modo generico a parlare di aumento dei contagi senza precisare che ciò dipende dal maggior numero di tamponi eseguiti, si dà l’impressione di una maggiore diffusione del virus.

In conformità con la dialettica dello scenario del peggior caso possibile, si raggiungono così cifre congrue a giustificare di fronte all’opinione pubblica terrorizzata un nuovo lockdown e un conseguente inasprimento delle misure.

Questa disamina dovrebbe forse indurre a un riesame critico della definizione stessa di pandemia che quasi subito, l’11 marzo 2020, l’OMS dichiarò in relazione alla diffusione del coronavirus. Si trattava realmente di una pandemia considerando anche il fatto che l’OMS stessa dichiaro lo 0,6% di letalità del virus? Alcuni scienziati lo misero in discussione, si veda per esempio R. Horton et alii, Offline: COVID-19 is not a pandemic, sulla rivista The Lancet del 26 settembre 2020. A loro giudizio i 972 mila casi registrati in quel momento rappresenterebbero un numero troppo esiguo se posto in relazione all’intera popolazione mondiale.

È di primaria importanza ricordare come nel rapporto del 20 marzo 2020, per esempio, l’ISS segnala che su un campione di 481 decessi su 3200 esaminati, nel 23,5% dei casi i pazienti deceduti avevano un’altra patologia; ancora, che il 26% ne aveva due, che il 48,6% ne aveva tre o più e, infine, che solo l’1,2% non aveva altre patologie oltre a quelle causate dal Coronavirus.

Insomma, ad avviso di alcuni scienziati, un virus che aveva ucciso lo 0,01% della popolazione mondiale, peraltro in moltissimi casi svolgendo il ruolo di causa secondaria di morte (defunti “con” e non “di” Coronavirus), non giustificava, sul piano strettamente scientifico, la definizione di pandemia. Si poteva, dunque, trattare di una scelta politica giustificata, ancora una volta, dall’ideologia medico-scientifica e dallo stratagemma narrativo del worst case scenario? Pandemia o epidemia? E, ancora, perché insistere con la caccia agli asintomatici? Serviva a creare una situazione di terrore generalizzato?

RadioAttività, lampi del pensiero con Diego Fusaro