Il 1 marzo di quest’anno sono 40 anni che fa questo mestiere, un mestiere che non si è interrotto, anzi, si è intensificato nei mesi clou della pandemia, quando il medico di base e sindaco di Santa Lucia di Piave (Treviso) Riccardo Szumski ha continuato ad esercitare la sua professione: quella di andare di casa in casa a monitorare i propri pazienti.
Un approccio “differente” rispetto a letto e tachipirina; il tipo di approccio che scienziati come Didier Raoult o il Dottor Luigi Cavanna hanno consigliato e promosso come metodo migliore per curare il Covid.

Nonostante le importanti tesi scientifiche a supporto, e sebbene al Dott. Szumski abbia portato importanti risultati (0 decessi), non sembra che alla macchina statale questo metodo sia piaciuto: per chi, come il dottore intervistato da Fabio Duranti e Francesco Vergovich, ha preferito restare a contatto con i malati, sono stati mesi da sovversivi quelli della primavera-estate 2020, addirittura mesi da “fuorilegge” quelli di chi ha consigliato l’idrossiclorochina ai propri mutuati: peccato che sia poi stata riabilitata a dicembre dal Consiglio di Stato.

Insomma, le regole da subito adottate dal Governo nella cura degli infetti non sembrano essere così inconfutabili, come ha sostenuto Szumski a ‘Un Giorno Speciale’. Ecco l’intervista.

La visita è fondamentale, il paziente ha bisogno di sentire una persona, che è il suo medico il quale lo visita, lo ascolta, fa una diagnosi, e questo è ciò gli permette di ottenere anche i risultati migliori. E poi non lo fa sentire solo continuandolo a monitorare e a sostenerlo. Un sostegno ci serve sempre, figuriamoci quando stiamo male e quando attorno c’è una cacofonia di messaggi negativi che arrivano in ogni momento dalla Tv, dalla stampa e da professoroni che vorrei vederli curare le persone casa per casa.

Non è che io volessi farmi pubblicità continuando a curare le persone a casa. Volevo mandare un segnale alle autorità che qualcosa si poteva fare, perché il dramma è che abbiamo ancora un protocollo Aifa e governativo che dice: Tachipirina e aspettare.
Vuol dire pregare. Se credete in qualcosa, pregate quello e sperate che vada bene. Questo è il dramma.

Avremmo sicuramente fatto meglio se ci fosse stata una diffusione di, non lo chiamo protocollo, ma esperienza clinica fatta sul campo fatta da qualcuno. Non ho vinto il Nobel per la medicina ma sono andato a vedere cosa hanno fatto in altre situazioni cercando di affrontare il problema, posto che le polmoniti le abbiamo sempre curate, non è una novità comparsa improvvisamente sul suolo.

“Pazienti deceduti? Nessuno”

Di quelli che ho potuto curare sin dall’inizio non ho perso nessuno. Poi c’è qualcuno che ti chiama dopo dieci giorni e non è un tuo paziente, ma si rivolge a te.
In qualche caso siamo arrivati nelle condizioni in cui il paziente aveva superato lo stato in cui si poteva fare qualcosa, ma sui miei pazienti, curati da me fin dall’inizio non ho decessi.

Ognuno è un paziente diverso. Il medico deve seguire la sua evoluzione, ma anche ad un paziente con un problema cardiologico e che si scompensa non si può dire “prendi, questi sono i farmaci per lo scompenso”, non è mica vero. Devi monitorarlo, vedere come risponde e se necessario cambiare qualcosa. Devi essere “sul pezzo”.

“Il Ministero non ci considera”

Dal Ministero? Io da sindaco, anche su vicende collegate, ho scritto molte volte anche in primavera riguardo alcune problematiche connesse. Risposte: zero.
Non ci considerano. Sarei un’istituzione, farei parte della Repubblica, perché la Costituzione dice che i comuni sono alla pari di tutti gli altri enti… Non considerato.

Mi spiace dire che io nemmeno a livello regionale sono stato considerato, anzi, sono stato bacchettato per aver detto che ho continuato ad usare l’idrossiclorochina a luglio, fregandomene dei divieti. Perché il paziente va curato prima di qualsiasi altro impedimento, anche rischiando un attimino di fronte a vincoli che si sono poi rivelati sbagliati e infondati, come poi detto anche dal Consiglio di Stato.
Dalle autorità competenti però mi è stato detto di stare zitto.

Qui non c’è da fare la guerra, c’è solo da portare delle considerazioni che sono a pro di tutti, che sono interesse della struttura sanitaria. Sarà interesse della struttura sanitaria se qualcuno ti cura i malati a casa, ti riduce l’accesso ai pronto soccorsi, riduce le ospedalizzazioni e i decessi che nessuno nega.
Non è che abbiamo trovato la soluzione, altrimenti sarebbe troppo semplice. Non esiste un farmaco antivirale che funzioni al 100% contro questo virus.
Abbiamo una serie di opportunità: alcune si possono usare facilmente, senza problemi, a domicilio. Se questo fosse stato un messaggio lanciato a tutti i medici avremmo anche tolto l’alibi a qualche medico di dire “non vengo a visitarti, prendi la tachipirina
“.