Addio a ‘Pablito’. Paolo Rossi se ne va a 64 anni per una grave malattia. Il goleador italiano per eccellenza. Il mito delle sue reti, durante il Mundial spangolo del 1982, ha fatto gioire e commuovere milioni di italiani. Lui, che a quel Mondiale rischiava addirittura di non andare.

Innumerevoli i ricordi e le commemorazioni che, dall’ufficialità della triste notizia, hanno dominato la scena nei principali canali informativi. Ex compagni di squadra, amici, giornalisti, personalità politiche e tanti altri. Una persona semplice Paolo. Un italiano che ha regalato sogni ad occhi aperti.

Giampiero Mughini lo ha ricordato così nel corso di ‘Un giorno speciale’ con Francesco Vergovich

Paolo è come se fosse uno che abitava normalmente nelle case di tutti gli italiani. Era davvero un ragazzo come noi. Mi pare che sia stato Dagospia a titolare magnificamente così: ‘Un ragazzo come noi’. Era un ragazzo come noi a partire dal fatto che lui fisicamente non era un superuomo. Per essere una punta era minuto, non molto alto. Non era nemmeno, uso le parole di Paolo Rossi, un fuoriclasse. Non è stato uno dei giganti del calcio internazionale.

E’ stato uno straordinario campione ma non uno dei primi 10-15 o venti al mondo. Però da quello che era, cioè un ragazzo intelligente, che aveva il tempo e l’istinto del gol, lui ha tratto meraviglie. Ha tratto meraviglie naturalmente a cominciare da quella sequenza di partite tra primavera ed estate del 1982 in cui quel rapporto erotico che aveva con il gol esplose in maniera indicibile. Tutti ricordano i 3 gol con il Brasile, ma di quella sequenza io trovo più straordinario il primo gol che l’Italia fa alla Germania. Un gol dove il tempo dell’entrata di testa di Paolo Rossi, su cross di Gentile, è straordinario. Era la prima volta che lo stopper tedesco subiva un gol da un giocatore che lui doveva marcare.

Un inno allo sport

Lo sport è il più bel teatro del mondo. C’è un teatro, cioè il calcio, che si rinnova ogni volta. Nel teatro sportivo, quale che sia lo sport, c’è un avvenimento che cambia di volta in volta. Sono partite giocate dalla stessa squadra che sono diversissime di volta in volta.
La partita che la Juventus ha giocato a Barcellona, pochi giorni fa, era una partita diversissima dalle altre 15 o 20 che aveva giocato ultimamente.

Per quanto riguarda l’importanza in sé dello sport, sto leggendo un bellissimo libro di Alfio Caruso sull’Italia del dopo Guerra tra 1945 e 1960.
Succede, in quell’Italia, che il 14 luglio 1948 un mascalzone fascista spari 4 colpi di pistola, di cui 3 andati a segno, a Palmiro Togliatti. Nei giorni successivi succede il finimondo per le strade per le piazze d’Italia. Scontri, morti tra le forze dell’ordine e tra i civili. Atmosfera infernale alla Camera quando, a un certo punto, un deputato entra nell’aula e grida: ‘Bartali ha vinto la tappa del Tour de France!’. Era la tappa decisiva. Una tappa in cui il 34enne Bartali distrugge gli avversari. Ebbene in Italia si placò quell’atmosfera rovente, al limite della guerra civile. Questo è lo sport”.