Bellissima la livrea blu, da gran soirée, pur se nel vuoto; apprezzabile il ritmo iniziale, per la Roma di Paulo Fonseca. Il dato del possesso palla arride da subito al Verona, però Veretout e compagni riescono con efficacia crescente a mordere le trequarti: salgono i giri nelle gambe dei romanisti, diciamo dalla partita del San Paolo in poi. D’altro canto, aveva almeno parzialmente ragione Juric quando aveva segnalato la stanchezza incipiente – e comprensibilissima – dei suoi giocatori. Sempre più lucida, l’argenteria tecnica di Henrikh Mkhitaryan. 

Non possiamo esimerci dal fastidio di dover parlare dell’arbitraggio, anche stasera. Dunque, in ordine sparso: se il rigore su Pellegrini te lo danno contro, ti arrabbi; poi, bisognerebbe capire chi realmente arriva per primo sul pallone: c’è un inquadratura dalla quale sembra di vedere la punta dello scarpino del romanista che per un decimo di secondo anticipa Empereur. Manca la totale chiarezza. Per paradosso, sembra più rigore quello su Dzeko, qualche minuto dopo. Di certo, Juric deve aver detto cose pesanti, all’indirizzo di Maresca. 

L’organizzazione di gioco degli scaligeri li tiene in partita a dispetto delle tossine accumulate; la Roma ha però smesso di arrivare sistematicamente seconda sul pallone come era accaduto fino alla gara interna con l’Udinese. 
Quando arriva, dal settore sinistro, il consueto pallone con i giri contati dal piede mancino di Spinazzola, Dzeko sale ad accarezzare, superandolo, il ricordo di Pedro Manfredini e, più prosaicamente, a incornare un raddoppio tutto sommato meritato. 

Capitolo Ibanez: brillano molto più le doti che gli errori di gioventù. 

La contesa si riapre con la combinazione Zaccagni – Pessina e il gol degno di Romario di quest’ultimo: tacco di prima intenzione, spalle alla porta, con Kolarov addosso. Giù il cappello. 

Strano secondo tempo: l’organizzazione e l’identità del Verona brillano più che nel primo; la Roma pero si ritrova sui piedi perlomeno tre match-ball: Dzeko, Mkhitaryan, ancora Dzeko. 

Capitolo Pellegrini: esce nel momento in cui ha appena offerto un pallone goloso a Mkhitaryan; complessivamente, però, siamo all’ennesimo “sei meno”, per dirlo con il gergo scolastico. Da lui è lecito, anzi obbligatorio pretendere di più, altrimenti mancherà sempre il proverbiale soldo per fare la lira. 

Capitolo Zaniolo: dà sostanza è gamba alle aggressioni negli ultimi trenta metri; con lui si può innestare una marcia in più. Peccato per il giallo dovuto a un intervento scomposto. Aspetti da limare. Meraviglioso intervento difensivo di Ibanez nel finale: una scivolata degna di Juan, per chi se lo ricorda. 

Verona organizzato, identitario, tatticamente riconoscibile nella consueta efficacia; alla fine, però, quella pericolosa continua a essere la Roma, che porta a casa risultato e prestazione. Un altro, sostanzioso passo avanti. 

Paolo Marcacci