L’uomo è una brutta bestia, per così dire, perché alla fin fine si adatta a tutto. Nel tifoso questa attitudine è persino più spiccata, perché pur di continuare a vivere la propria passione è in grado di scendere a patti con chiunque e con qualsiasi cosa. Persino con l’idiozia. Non parliamo soltanto del presente: è accaduto tante volte già in passato.

Di certo, per i giorni che viviamo, nel calcio i contributi all’illogicità non mancano; vale per il dibattito sui campionati che dovrebbero ricominciare e per i contenuti già evidenziati dalla ripresa della Bundesliga. Lasciamo da parte i contenuti tecnici e agonistici, apparsi già più decenti in questa seconda giornata dopo la riapertura, aspettando lo scontro diretto tra il Bayern Monaco e il Borussia Dortmund. In questo senso chi scrive si era già pronunciato favorevolmente verso la ripresa delle ostilità, ben sapendo che avremmo assistito a una soglia agonistica “convalescente”, per rendere l’idea.

Parliamo però dei contenuti e degli aspetti ambientali di questa ripresa teutonica, che inevitabilmente potrebbero rappresentare un modello per gli altri campionati europei ai nastri di (ri)partenza. Siccome anche il football si sta leccando le ferite e la sua ripresa avviene in un regime di libertà vigilata, allora è più normale vedere lo stadio vuoto, malinconicamente e desolatamente, agognando il giorno in cui tornerà a gremirsi, che vedere le sagome di cartone con gli occhi spalancati e il sorriso a trentadue denti, come quelle posizionate sugli spalti del “Borussia Park” di Moenchengladbach.

Lo stadio vuoto ci ancora alla realtà del momento e ci fa auspicare il ritorno del pubblico; la sagoma di cartone è un passo verso la virtualizzazione del pallone, quindi la similitudine un po’ osé che ci viene in mente è quella con la bambola gonfiabile in amore. Per carità di Dio. Ancora più alienante, in questo senso, è l’opzione televisiva per avere in sottofondo il clamore di un pubblico che non c’è, con cori e ovazioni. Meglio, mille volte meglio, gli echi nel vuoto, le imprecazioni dei giocatori, le urla degli allenatori che si sgolano all’interno dell’area tecnica. Perché quello ci fa capire che la normalità deve ancora essere del tutto reintrodotta.

I cartonati sugli spalti e i cori registrati sono invece il simbolo del tentativo di farci accettare un surrogato di realtà, una sorta di “piano B” per non farci pensare a quanto ci manchino le cose così com’erano e come ci sembravano scontate.

I pupazzetti sulle gradinate e i cori che si ripetono sempre uguali ci piacevano soltanto quando andavamo a giocare a Subbuteo dai nostri amichetti che oltre al panno verde avevano anche lo stadietto di plastica. Ma ci piacevano, per l’appunto, proprio perché erano una copia della realtà, non un qualcosa che pretendeva di sostituirla.

Paolo Marcacci


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