È ufficiale: fino al 15 marzo le scuole e gli atenei chiudono per contenere l’emergenza coronavirus. A fronte di questa decisione, come si riorganizza la vita di una famiglia? Perché chiudere le scuole, se i bambini sono le categorie meno a rischio?

Stefano Molinari e Luigia Luciani ne hanno parlato con il virologo Prof. Giovanni Di Perri, Direttore della Clinica Malattie Infettive Ospedale Amedeo di Savoia di Torino. Ecco cosa ha detto.

“Una chiusura che condivido sul piano della natura del provvedimento, pesa indiscriminatamente a prescindere dall’incubazione ridurre quanto possibile i contatti umani.

Abbiamo avuto un mese di preparazione, si sapeva che sarebbe finita così. Al di là della natura dei provvedimenti quello che deve valere è un messaggio a tutti noi: che passeremo un periodo un po’ difficile, dovremo cambiare alcune abitudini. Alcune sono abitudini molto importanti, alcune necessarie, come il modo di lavorare o come passiamo il nostro tempo, perché ci vuole una collaborazione trasversale da parte di tutti.

Perché chiudere le scuole? C’è il problema che sono un grosso serbatoio di rilancio di contagio. I bambini fanno avanti e indietro, si muovono, vanno a trovare i nonni… Ecco i nonni è bene che non vadano con nessuno. Se possiamo organizziamo loro una vita diversa per qualche settimana, ma la nostra presenza non è gradita. Noi possiamo averlo preso al bar il giorno prima e portarglielo per far loro solo un saluto.

E’ il periodo più complicato per l’Italia dalla Seconda guerra mondiale, secondo il virologo, che conclude: “Ditemi quando, dal ’46 in poi, abbiamo paventato una chiusura delle scuole, degli esercizi pubblici o il campionato che si ferma…”


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