L’acqua alta che in questi giorni sta sommergendo Venezia è una potente quanto dolorosa imago della situazione in cui versa il nostro paese. E’ l’emblema del naufragio che sta sconvolgendo l’Italia tutta.
L’acqua sale e, impietosa, copre le vestigia dell’antica civiltà della serenissima, getta scompiglio nelle vite di chi abita il presente e insieme non lascia scampo neanche al passato. Ne mette infatti a repentaglio l’esistenza travolgendo libri antichi e palagi densi di storia.

Come già accadde col terremoto di Lisbona del 1755, quello che come ricorderà Adorno, servì a Voltaire a guarire dalla sua ingenua concezione leibniziana del migliore dei mondi possibili, anche a Venezia ci troviamo in una tragedia che è insieme della natura e della società.

La responsabilità non è solo della natura, tende largamente invece dalla mano dell’uomo e dalla superficialità ottusa con cui essa tende a intervenire dove è necessario farlo tempestivamente.

Venezia è l’immagine vivente dell’Italia sommersa, ogni giorno più esposta ai mari perigliosi della globalizzazione infelice, nella quale l’Italia quotidianamente continua a perdere la propria identità, la propria struttura, la propria forza.

Ma è in queste situazioni estreme che affiora il meglio, l’eroica virtù altruistica di chi non si arrende. E’ questa la situazione dell’elettricista che, precipitatosi a Venezia all’indomani dell’inondazione per dare una mano ai residenti è stato poi immortalato sul treno: era stremato per la fatica compiuta.

L’immagine dell’elettricista sfiancato dalla fatica ha fatto il giro della rete ed è divenuta l’immagine della tenacia e della solidarietà di chi dinanzi alla tragedia non resta inerte, non si limita a denunciare l’accaduto o a criticare la situazione.
Soprattutto è l’immagine operosa della migliore Italia, che prova a riaffiorare e a rivedere il sole e le altre stelle.

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