Eccoli lì, tutti ambientalisti. Tutti in fila con bandiera in mano e petto in fuori a sfilare per mostrare il proprio amore per il pianeta Terra. L’ambientalismo è il nuovo dogma per chiunque voglia ritenersi un cittadino modello, un degno rappresentate di un mondo migliore. 

Ecco allora che, come in un film, qualsiasi gruppo che si rispetti ha bisogno di un leader, di un riferimento da ergere a simbolo e rappresentante del pensiero di tutti. Una storia ha sempre bisogno di un eroe, di un paladino della giustizia che interiorizzi la sua missione tanto da diventare esso stesso l’immagine, il logo, della lotta che conduce. E chi potrebbe interpretare questo ruolo meglio di una bambina dalla pelle candida e le treccine perfette che viene dal nord?

Così, sotto il vessillo dell’ambientalismo, come un esercito di soldati, abbiamo iniziato a marciare nelle piazze d’Italia e del mondo per gridare il nostro disgusto per l’inquinamento, inorridiamo alla sola vista di un piatto di plastica, parliamo ai nostri amici di come vada protetto il mondo e facciamo la raccolta differenziata con lo stesso amore con cui Willy Wonka fabbrica il cioccolato.

Già, la differenziata. Tutti incastrati in una schiavitù che ci da l’illusione di salvare il pianeta e di andare a dormire con la coscienza pulita. Svolgiamo il nostro compito da spazzini per ripulire la sporcizia che viene immessa sul mercato da altre persone che traggono un profitto dal proprio inquinamento. Impieghiamo il nostro tempo, quel poco tempo libero che ci rimane oltre il lavoro, per mettere a posto le schifezze che vengono fabbricate e diffuse da imperi multimiliardari.

Questo è il meccanismo perverso che oggi dovrebbe essere messo sotto accusa. Proviamo a descrivere la situazione.

Il mercato ha visto l’affermazione delle multinazionali che hanno distrutto l’ecosistema dei piccoli commercianti grazie all’utilizzo di pratiche che si basano sull’inquinamento. 

Siamo dominati da grandi aziende che producono e vendono i loro prodotti in tutto il mondo. Naturalmente per fare ciò questi prodotti devono essere confezionati (plastica come non ci fosse un domani) e spediti (km e km di viaggi inquinanti) da una parte all’altra del paese se non addirittura del pianeta.

Queste pratiche, alla base dell’essenza stessa delle multinazionali, permettono guadagni esorbitanti ma allo stesso tempo implicano dei costi indiretti – in economia delle esternalità negative– per la salute del pianeta che qualcuno dovrà pur pagare. E chi impiega soldi e tempo per ripulire? Le aziende che per vendere hanno danneggiato l’ambiente? Neanche per sogno, i consumatori. 

Quindi di fronte a un Soggetto 1 che guadagna e inquina abbiamo un Soggetto 2 che paga e ripulisce. E la cosa forse più clamorosa è che il Soggetto 2 è ormai anche orgoglioso del suo ruolo.

Questa è la grande perversione economica dell’ambientalismo. È come se andaste in un ristorante, pagaste e poi il ristoratore vi dicesse “Mangiato bene? Ok, ora vai in cucina a pulire”.

Ecco allora che forse la grande battaglia andrebbe fatta esplicitamente contro i Governatori che permettono l’esistenza di questo sistema. Andrebbero attuate politiche contro quei grandi gruppi che, per massimizzare i profitti, vanno a fabbricare i propri prodotti in qualche parte sperduta del mondo, sfruttando i bassi costi di lavoro (e su questo andrebbe aperto un altro capitolo), e poi li rivendono a due soldi nei Paesi più ricchi.

Il fatto che l’inquinamento sia legato a queste dinamiche lo dimostra l’evidenza che il problema sia emerso e cresciuto negli ultimi anni, proprio in concomitanza della globalizzazione. Fino a quando si faceva la spesa dal “pizzicagnolo” o dal fornaio nessuno si batteva per l’ambientalismo. Che bisogno c’era? Qualcuno si ricorda la spesa dei nostri nonni? Quello che si comprava veniva incartato nei fogli di giornali, la spesa giornaliera della famiglia media comportava un costo ecologico di 5 pagine del Corriere della Sera. 

Se questo è il problema quale è la soluzione?

In tempi non sospetti, quando “inquinamento” non era neanche una parola sul dizionario, un certo economista di nome Pigou aveva previsto il problema che si sarebbe venuto a creare nel futuro. Come soluzione formulò, molto semplicemente, un’imposta da far pagare a chi trae profitto inquinando. La vera soluzione al problema sarebbe quella di imporre una tassa a chi, in funzione del guadagno, genera esternalità negative.

Questa soluzione va quindi ad influire sull’attività produttiva dell’impresa che, se non regolata dallo Stato, mira alla sola massimizzazione del profitto. Si va quindi a colpire dritto al cuore il potere economico del mondo.

Quali conseguenze di fronte all’applicazione di una misura simile?
Ci sono diverse possibilità.

La prima è che l’azienda inquinante che paga una tassa commisurata al livello di inquinamento prodotto inizi ad adottare pratiche che siano meno dannose per l’ambiente. Seconda possibilità è che i soldi ottenuti dall’imposta sulle aziende vengano utilizzati come sussidi per le imprese che non generano inquinamento. La conseguenza in questo senso sarebbe che l’azienda inquinante per far fronte alla tassa dovrebbe alzare i suoi prezzi mentre l’azienda non inquinante che riceve il sussidio potrebbe abbassare i suoi prezzi, così si invertirebbe la logica perversa del mercato per cui comprare un prodotto in Cina è più conveniente che comprarlo nella propria città. In alternativa questi soldi potrebbero essere dati ai cittadini come “ricompensa” per la loro attività di spazzini, allora si che la raccolta differenziata sarebbe ammissibile.

Il fatto è che – come ormai avviene spesso – di fronte ai problemi invece di cercare una soluzione a monte si cerca una soluzione a valle, viene puntato il dito lì dove chi esercita il potere politico ed economico è esente da colpe.

In conclusione, fino a quando la Coca Cola potrà essere venduta in tutto il mondo in bottiglie di plastica, fino a quando alla Kraft sarà permesso di vendere 100 grammi di formaggio in 200 grammi di plastica, fino a quando Zara potrà fabbricare una maglietta in Thailandia e venderla a 5000 km di distanza, fino a quando all’ILVA sarà permesso di funzionare in questo modo, non fateci sentire in colpa.

No, non fateci sentire in colpa per un piatto di plastica.