Non è un anno bellissimo, tanto per ricordare una celebre definizione del premier romanista Conte. Sette gol a Firenze, tre nel derby: fanno dieci e senza lode. Rischia piuttosto di trasformarsi in un anno indimenticabile, ma per le sconfitte. 
Chi e che cosa si salva dopo questo zero a tre? Poco, pochissimo. Serve la lente d’ingrandimento. Non Pallotta che si autointervista per parlare di stadio (avrà visto il derby?); non Monchi il cui mercato è sotto gli occhi tristi di tutti; non Baldini dal quale si attende ancora una scelta azzeccata; non i giocatori, sopravvalutati sul piano tecnico e caratteriale; non Di Francesco che, pur cambiando e ricambiando, smontando mille volte il trenino giallorosso, mai è riuscito a trovare il binario giusto. Non è un anno bellissimo. No, non lo è.
 

Il derby, per esempio. Quanto è durato? Due minuti, forse. Poi Lazio, a parte uno slancio romanista nella ripresa, poco prima del raddoppio. Non ho sufficienze da dare. Il “meno peggio”, come si dice a Roma, Zaniolo, ma in una posizione che lo penalizza: messo sull’esterno si ritrova un uomo addosso. In mezzo avrebbe più spazio.
 

Non mi è piaciuto Olsen, evito di parlare della ripresa, il centrocampo era di ovatta, l’attacco è stato a guardare. Un fulmine improvviso? Direi piuttosto che avevano illuso le due ultime, sfilacciate, vittorie.
Il calcio cambia da un minuto all’altro. Auguriamo dunque alla Roma di ritrovarsi, anima e piedi, a Porto e di andare avanti. Al domani si penserà poi. Ben sapendo che non si può fare a meno di Manolas, che la difesa va buttata e rifatta, che serve un De Rossi da crescere, che va risolto il quesito Dzeko. Chi ci penserà? Monchi e Di Francesco sanno di essere vicini alla fermata. Toccherà a Baldini decidere, mentre Pallotta resterà a Boston a pensare allo stadio. Ma domani è un altro giorno per tutti, anche per loro.

Roberto Renga