Se è vero che, come sosteneva Fëdor Dostoevskij, “la bellezza è un enigma“, cosa c’è di più enigmatico, complesso e affascinante dell’animo femminile? In occasione della festa della donna, che ricorre oggi, 8 marzo, celebriamo cinque, iconiche figure femminili che, nel corso dei secoli, sono riuscite a farsi strada in un mondo di uomini, emancipandosi e contribuendo a cambiare, con i loro lavori, l’espressione massima e universale del culto del bello: la storia dell’arte.

Lavinia Fontana:

L’instancabile ‘pontificia pittrice’, così soprannominata per l’intensa attività per papa Gregorio XIII e il suo entourage, è stata una delle prime bandiere nell’introduzione delle quote rosa nel mondo dell’arte.

Figlia dell’artista Prospero Fontana, legato alla cerchia artistica e alla politica di corte bolognese, Lavinia ha svolto il proprio apprendistato nella bottega del padre, nella quale è riuscita ad assorbire vari stili ed esperienze pittoriche, dalle influenze emiliane dell’allora giovani fratelli Carracci, Annibale ed Agostino, e di loro cugino Ludovico, alla maniera lombarda di un’altra, grande protagonista femminile dell’arte europea, Sofonisba Anguissola.
Nei suoi lavori d’esordio infatti sono presenti tanto le influenze di quest’ultima, irrobustiti dal realismo di Bartolomeo Passerotti e di altri artisti veneti, nordici ed emiliani, quanto gli esempi paterni.

Talentuosa ritrattista (il primo è conservato all’Accademia di San Luca ed è firmato, in attesa del suo imminente matrimonio con Giovan Paolo Zappi, Lavinia virgo Prosperi Fontanae), la Fontana si distinse anche per essere stata la prima artista donna ad avere commissioni di opere pubbliche a destinazione sacra e profana. A testimoniarlo, la pala del 1583 “Madonna Assunta di Ponte Santo e i santi Cassiano e Pier Crisologo“, conservata nel Palazzo Comunale di Imola) e la più tarda “Minerva in atto di abbigliarsi (1613), oggi visibile alla Galleria Borghese di Roma. Su quest’ultimo dipinto, Lavinia Fontana trasferisce tutto il suo senso dell’eleganza, della sensualità e la sua, indiscutibile cifra stilistica, plasmando su tela la figura di una dea vergine che, in procinto di coprire le nudità con un manto, rivolge maliziosamente lo sguardo allo spettatore, un contatto diretto che c’invita ad approfondire meglio ogni dettaglio nascosto dell’opera di questa grande artista.

Artemisia Gentileschi:

Quando, in occasione dell’8 marzo, si parla di donne nell’arte non si può non menzionare lei, l’artista caravaggesca per eccellenza, colei che, con la sua forza, passione e talento, è riuscita a imporsi con la sua arte e a distaccarsi da un mondo che la voleva assoggettata alla violenza subita: Artemisia Gentileschi è infatti, questo e molto altro.

Come Lavinia Fontana, anche lei era figlia di un pittore, Orazio Gentileschi che, insieme ai suoi fratelli, la instradò al mondo dell’arte, disciplina nella quale mostra sin da subito un indiscusso talento. Benché giovanissima e in un settore dominato dagli uomini, Artemisia riuscì ad emergere, dimostrando anche di aver assimilato e interiorizzato gli insegnamenti del suo maestro.

Figlio di questa fase e primo, vero cimento artistico di rilievo della Gentileschi è “Susanna e i vecchioni” (1610), tela dove la gestualità evidente e drammatica dei soggetti, il realismo caravaggesco e le influenze della scuola bolognese la fanno da padrone. Ma la vita della giovane e talentuosa pittrice subisce un forte scossone all’età di 17 anni: nel 1611, dopo diversi e rifiutati approcci sessuali, il mentore designatole da suo padre Orazio, il collega e amico Agostino Tassi, la violenta nell’abitazione dei Gentileschi. Inizialmente la giovane non denunciò l’abuso e intrecciò una relazione con lui, fidandosi della promessa del Tassi di mettere a tacere il delitto con un matrimonio riparatore, uno degli aberranti modi dell’epoca per ‘restituire dignità’ a una donna violentata.

Il matrimonio, tuttavia, non arriverà mai e, quando Artemisia scoprì che Agostino Tassi era già sposato, decise di andare incontro, su pressione del padre Orazio, a un lungo e umiliante processo, per vedere riconosciuti i propri diritti. Nonostante un iter giudiziario aggressivo, l’obbligo a numerose visite ginecologiche e la dolorosa prova dello schiacciamento dei pollici, Artemisia, seppur ancora traumatizzata dall’abuso subito, dimostrò una notevole dose di coraggio durante la fase processuale. In pittura, quest’episodio trovò espressione nella tela “Giuditta e Oloferne“.

Venne riconosciuta, al termine del processo, la colpevolezza del Tassi, il quale scelse l’esilio da Roma pur di non dover affrontare la pena dei lavori forzati. Complice la drammatica vicenda, anche Artemisia si allontanò da Roma, spostandosi negli anni, da Firenze a Napoli fino a Londra, riscuotendo sempre più consensi nelle corti italiane ed estere e regalando al mondo capolavori della pittura come “La conversione della Maddalena”, “Nascita di San Giovanni Battista”, “Cleopatra” e “Autoritratto come allegoria alla Pittura”.

Suzanne Valadon:

Non una vita semplice nell’artistico e controverso quartiere parigino di Montmartre, ma sicuramente intensa quella di Marie-Clementine, in arte Suzanne Valadon. L’artista autodidatta che affascinò con la sua bellezza e talento Pierre-Auguste Renoir, Edgar Degas, Pierre Puvis de Chavannes e Toulouse-Lautrec, nacque Bessines-sur-Gartempe e si trasferì ancora bambina a Montmatre con la madre, un’ex sarta che accettò qualsiasi tipo di lavoro per sopravvivere.

Ma quella realtà così restrittiva per la sua indole liberale e rivoluzionaria iniziò a stare stretto sin da subito alla Valadon, che passò di lavoro in lavoro (pasticcera, fioraia, sarta, ecc.) al solo scopo di racimolare quattro soldi per potersi divertire in ogni modo che le fosse noto.

A causa di una caduta dal trapezio durante un’esibizione circense, dovette rinunciare a questo lavoro, ma continuò ad alimentare una sua grande passione: il disegno. Grazie alla sua bellezza, divenne modella e, in alcuni casi, amante di molti esponenti dell’artisti dell’epoca, tra cui Toulouse-Lautrec, che la ribattezzò affettuosamente Suzanne in riferimento alla Susanna biblica.

A 18 anni mise al mondo quello che diventerà il celebre pittore francese Maurice Utrillo, che figurò bambino in molti disegni della Valadon, la quale ritraeva spesso scene di vita quotidiana. Il distacco emotivo che si percepisce in quei lavori e lo sguardo triste di Utrillo colgono l’essenza di quest’artista dall’indole bohemien.

Nel 1894, la Valadon fu la prima donna ad essere ammessa alla “Société Nationale des Beaux-Arts”e, dopo qualche anno di matrimonio con l’agente di cambio Paul Moussis, lo lasciò per un amico e collega del figlio, il ventitreenne André Utter.

La loro passionale unione durò quasi 30 anni, come testimonia uno dei dipinti più celebri di Suzanne Valadon, “Adamo ed Eva”. Nei suoi autoritratti, che dipingeva periodicamente anche in età avanzata, ce n’è uno, l’ultimo prima di morire, in cui l’artista si mostra per quello che è, nonostante gli inesorabili ritocchi del tempo.

Margaret Keane:

Un ulteriore passo verso l’emancipazione femminile nel mondo dell’arte lo ha fatto anche Margaret Keane, artista statunitense nota per dipinti raffiguranti bambini o donne con occhi enormi e sproporzionati rispetto ai visi.

Nata a Nashville nel 1927, la pittrice espose e vendette le proprie opere con il nome del marito, Walter Keane, che ne rivendicava la proprietà e la creazione. In questo periodo, i suoi lavori sono caratterizzati da ambientazioni oscure e da un’atmosfera piuttosto cupa.

Trasferitasi a San Francisco, nel marzo del 1970 divorziò dal marito, convolando a nozze in seguito con Dan McGuire, un giornalista sportivo di Honolulu.

Decisa a denunciare la frode dell’ex marito, la donna partecipò a una trasmissione radiofonica, dove annunciò al mondo intero l’inganno di Walter Keane e che lei era la vera creatrice dei dipinti dai grandi occhi.

Esplose, quindi, un caso mediatico e giuridico che portò i due protagonisti della vicenda davanti alla Corte Federale: il giudice chiese a Walter e a Margaret di realizzare un dipinto sul momento, al fine di verificare chi fosse il vero autore dei quadri. Mentre Walter Keane si rifiutò di dipingere davanti alla corte, sostenendo di essere infortunato alla spalla, Margaret portò a termine l’opera in meno di un’ora.

Alla fine del processo, le venne riconosciuto un risarcimento danni pari a quattro milioni di dollari. Riconosciuta come una delle artiste più influenti al mondo, Margaret Keane divenne fonte d’ispirazione per il film di Tim Burton, dedicato alla storia della pittrice, “Big Eyes”.

Frida Kahlo:

Non c’è arte senza passione, non c’è talento senza sacrificio e chi, se non un’artista brillante e anticonvenzionale come Frida Kahlo, è riuscita a incarnare questi concetti?
Magdalena Carmen Frieda Kahlo y Calderón nacque nel 1907 a Coyoacán, in Messico, da Matilde Calderón y González e Guillermo Kahlo, fotografo di successo dal quale la pittrice apprende la precisione e la cura dei dettagli.

Affetta fin dalla nascita da spina bifida, scambiata dai suoi genitori e dalle persone intorno a lei per poliomielite, Frida rimane vittima nel 1925 di un grave incidente stradale. Costretta a letto dopo le dimissioni dall’ospedale, la sua indomita e passionale inclinazione per l’arte si manifesta nonostante il dolore fisico: inizia a produrre autoritratti, grazie anche allo specchio sul soffitto regalatole dai genitori, che evidenziano il rapporto ossessivo dell’artista con il proprio corpo martoriato dagli interventi chirurgici.

Fondamentale per la sua vita privata e professionale il rapporto con il pittore murale Diego Rivera, che incontrò per mostrargli i suoi lavori. Colpito dal suo stile moderno e anticonvenzionale, Rivera introdusse Frida Kahlo nel circuito politico e culturale messicano, che la portò ad iscriversi al Partito Comunista Messicano e ad innamorarsi del suo mentore. Nel 1929 lo sposò, ma la loro, infuocata unione fu costellata da tradimenti da entrambe le parti.

Per un lasso di tempo, in un periodo intenso della sua produzione artistica, la Kahlo fece combaciare gli elementi messicani a quelli surrealisti nelle proprie opere. Nel 1939, su invito di André Breton, il quale rimase colpito dai suoi dipinti, si recò a Parigi, dove le sue opere vennero presentate in una mostra a lei dedicata.
Ma la sua visione era ben lontana da quella surrealista: la sua immaginazione non era un modo per uscire dalla logica ed immergersi nel subconscio, ma piuttosto il prodotto della sua vita che lei cercava di rendere accessibile attraverso un simbolismo. Anni dopo infatti, l’artista negherà di aver preso parte al movimento.

Frida Kahlo fu la prima donna latinoamericana ad essere ritratta nei francobolli statunitensi e, ad oggi, viene ancora ricordata come una delle più grandi esponenti della pittura del Novecento.