Non è la prima volta che, a Milano, si formano mostruose code o, come oggi va di moda dire assembramenti inauditi, per acquistare le scarpe in edizione limitata della Lidl. Ne danno notizia tutti i principali quotidiani, accompagnando in non rari casi l’informazione con immagini di masse trafelate e festanti dinanzi alla divinità merciforme di cui stanno per appropriarsi.

Scene raccapriccianti in cui pure si condensano sogni di felicità al tempo dell’alienazione senza confini. Tutti ricordiamo le parti iniziali del “Capitale” di Carlo Marx, ove il filosofo teutonico mostra i paradossi del tavolo: se considerato come semplice valore d’uso, esso non fa problema, poiché serve per mangiare o per appoggiarci le cose. Se, tuttavia, osserviamo il tavolo sotto il profilo del valore di scambio, ecco che allora esso si anima e balla come se dotato di vita propria, sgomitolando grilli dalla testa.

In ciò sta l’enigma della forma merce, fulcro della civiltà del capitale. Chissà che cosa avrebbe detto il vecchio barbuto di Treviri se avesse visto le code meneghine di uomini accalcati per entrare in possesso a ogni costo delle nuove merci fantasmagoriche, il meglio che la religione del libero mercato possa vendere loro.

Abbandoniamo per un attimo il filosofo del “Capitale” e interpelliamo quello dell’eterno ritorno dell’uguale, Federico Nietzsche: egli non soltanto, nella “Gaia senza”, fa annunciare al folle uomo la morte di Dio in un luogo niente affatto neutro quale è il mercato; in “Così parlò Zarathustra”, Nietzsche teorizza anche la figura dell’ultimo uomo, colui che non crede più in alcun ideale ed è pervaso in ogni sua cellula dal nichilismo: nulla di grande in cui credere e per cui battersi, solo una vogliuzza al giorno e una alla notte, “fatta salva la salute”.

Anche quest’ultima precisazione relativa alla salute come ultima fede dell’uomo in balia del nichilismo non può suonare casuale, nel tempo del nuovo ordine biopolitico del capitalismo terapeutico. Intrecciando le grammatiche di Nietzsche con quelle di Marx, possiamo ben dire che è uno spettacolo triste quello degli ultimi uomini con immaginario totalmente mercificato che, anziché rovesciare il mondo che li tiene in catene, si mettono in coda, come un gregge mansueto e obbediente, per far parte di quella apartheid globale chiamata capitalismo e per acquistare, magari a rate, i sogni a basso costo e rigorosamente in forma di cosa che esso quotidianamente mette al mondo.

Variando sul tema platonico, una soltanto è la domanda che poniamo agli ultimi uomini del mansueto gregge in coda per le scarpe: come si sta là sotto, in fondo all’antro caliginoso?

RadioAttività, lampi del pensiero con Diego Fusaro