La musica, quella vera, sembra aver perso spazio nella formazione dei giovani. Non si parla di conservatori o di percorsi specialistici ma della scuola di tutti i giorni, quella che dovrebbe fornire le basi culturali ed emotive su cui costruire il futuro. Possibile che oggi si cresca senza conoscere la storia della musica, senza aver mai ascoltato davvero i grandi compositori italiani e internazionali?
Ne abbiamo parlato in diretta con Giandomenico Anellino.
La storia della musica
Alle superiori si studia storia dell’arte, ma la storia della musica resta un’assenza inspiegabile. Eppure parliamo di uno dei patrimoni culturali più importanti del nostro Paese. Possibile che nessuno trovi spazio (nemmeno un’ora a settimana) per far ascoltare Verdi, Puccini, Mozart o Beethoven? Non per formare musicisti, ma cittadini più consapevoli.
Il problema nasce ancora prima, alle scuole medie. L’approccio alla musica è spesso ridotto a strumenti inadeguati, come flauti di plastica che trasformano l’apprendimento in fastidio. Così la musica smette di essere emozione e diventa rumore. E quando succede, il distacco è quasi definitivo.
Flauti di plastica e cellulari da 1.500 euro: il paradosso
Il paradosso è evidente anche fuori dalle aule. Spendiamo migliaia di euro per smartphone destinati a diventare obsoleti, ma fatichiamo a investire in uno strumento musicale dignitoso, che accompagni un ragazzo per anni e lo aiuti a sviluppare sensibilità e ascolto.
Anche i genitori hanno una responsabilità: ciò che si ascolta in casa educa. Accanto alla musica di oggi, far conoscere Battisti, Pino Daniele o Lucio Dalla non significa imporre il passato, ma offrire alternative. Perché la musica, se ascoltata con attenzione e qualità, lascia sempre un segno.
Lo dimostrano i concerti nelle scuole: quando i ragazzi ascoltano davvero, il silenzio cala e l’attenzione cresce. Non è vero che non capiscono la musica. Forse, allora, il problema non è che i giovani non sappiano ascoltare. È che nessuno glielo ha mai insegnato davvero.










