La frase attribuita a Locatelli ha immediatamente acceso il dibattito: è accettabile che un parere tecnico-scientifico venga condizionato da pressioni politiche o da un generico ‘rispetto istituzionale’? O peggio, è lecito che la scienza venga subordinata alla ragion di Stato, pur in contesti di emergenza?

“Non sono convinto, non ci sono evidenze scientifiche, ma approvo per rispetto delle istituzioni”.

Questa frase, attribuita a Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità ed ex membro del Comitato Tecnico Scientifico (CTS), sta suscitando forti polemiche. Il contenuto è tratto da un video recentemente diffuso, in cui si discute della gestione dell’emergenza sanitaria e, in particolare, della somministrazione dei vaccini anti-Covid, con un focus su donne in gravidanza e fasce d’età giovani.

Il nodo della questione è delicatissimo: secondo quanto riportato nel video, alcuni membri del CTS avrebbero espresso dubbi sull’opportunità di estendere indiscriminatamente la campagna vaccinale a tutta la popolazione, in assenza di evidenze scientifiche sufficienti. Tuttavia, nonostante le perplessità, avrebbero dato il proprio assenso, motivando la scelta con la necessità di ‘servire le istituzioni’.

Scienza o fedeltà istituzionale?

L’approvazione è stata solo verbale, e non messa per iscritto nei verbali ufficiali del CTS. Un dettaglio non irrilevante: l’assenza di una posizione formale rende di fatto invisibile il dissenso, impedendo qualsiasi successiva contestazione o revisione critica della decisione.

In un altro passaggio, Locatelli si rivolgerebbe ad altri membri del CTS, invitandoli a evitare divisioni e chiedendo unanimità nelle decisioni, per non creare “problemi” o “dibattiti pubblici”. Una strategia che sembra mirare a mostrare un fronte compatto, anche a scapito della trasparenza scientifica.

Questa impostazione solleva interrogativi fondamentali non solo sul metodo decisionale del CTS ma sull’intero rapporto tra scienza, politica e comunicazione pubblica.

L’accusa: un danno ai cittadini e alle istituzioni

Ci confrontiamo in diretta con l’avv. Holzeisen e siamo d’accordo sul fatto che si tratti di una decisione dolosa, non basata sulle evidenze: il CTS di aver tradito la propria missione istituzionale. “Non solo hanno danneggiato i cittadini, ma hanno reso un pessimo servizio anche alle istituzioni. Perché non si serve l’istituzione piegandosi a chi la rappresenta temporaneamente, ma difendendo i principi che essa incarna”.

Da questo si sollevano dubbi anche su un fronte giuridico: se un membro di un organo tecnico-scientifico non può verbalizzare il proprio dissenso, vuol dire che è stato in qualche modo costretto a non farlo. E questo è inaccettabile in una democrazia.

Uno Stato che rischia di implodere

Infine, si tocca il tema delle responsabilità politiche. Il punto è: e si ammettesse l’errore, si aprirebbe la strada a richieste di risarcimento colossali, a favore di milioni di cittadini che avrebbero subito vessazioni immotivate. “Lo Stato rischierebbe di implodere, perché dovrebbe riconoscere di aver sbagliato. Ma se vogliamo davvero ricostruire, dobbiamo avere il coraggio di ammettere che è stato fatto del male, e che è tempo di rimediare”.

Il caso Locatelli rappresenta una crepa profonda nella narrazione ufficiale della pandemia. La questione non è più ‘chi aveva ragione’, ma con quale metodo siano state prese decisioni che hanno inciso sulla vita e sulla salute di milioni di persone. Un sistema che censura i dubbi, impone l’unanimità e sacrifica la scienza per ‘servire le istituzioni’ non solo non tutela i cittadini, ma mina alle fondamenta la fiducia nello Stato.

Ora spetta ad altri organi (istituzionali, giudiziari, giornalistici) fare chiarezza. Perché il silenzio, stavolta, non può più essere una risposta.