Siamo in Ucraina, è il 26 aprile 1986 – l’1:23 del mattino: un’esplosione al reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl cambia per sempre la storia dell’umanità. Siamo di fronte al più grave disastro nucleare mai avvenuto, una catastrofe ambientale e umana le cui conseguenze ancora oggi si fanno sentire.
Ricordare Chernobyl significa perciò tener viva la memoria e riflettere sulla necessità di un futuro senza nucleare. La nube radioattiva sprigionata dall’incidente liberò nell’ambiente una quantità di radiazioni almeno cento volte superiore a quella delle bombe di Hiroshima e Nagasaki. Le particelle contaminate si sparsero su gran parte dell’Europa, arrivando anche in Italia. Secondo le stime delle Nazioni Unite, le vittime dirette furono circa 4.000 mentre oltre 110.000 persone furono evacuate. Ma il bilancio reale è molto più ampio e ancora oggi milioni di persone ne subiscono le conseguenze.
Il Paese più colpito fu la Bielorussia, dove si concentrò circa il 70% della contaminazione. Molte famiglie non riuscirono a lasciare le zone compromesse a causa delle condizioni economiche. Ancora oggi circa 5 milioni di persone vivono in aree contaminate, nutrendosi con alimenti radioattivi. Le ripercussioni sulla salute sono ovviamente ancora oggi gravi: aumento di tumori, soprattutto alla tiroide tra i bambini, indebolimento del sistema immunitario ma anche disturbi psichici legati alla cosiddetta sindrome di Chernobyl.
I tre volontari
Tra le tante storie nate da quella tragedia, ce n’è una che merita di essere conosciuta da tutti: quella di Alexey Ananenko, un ingegnere meccanico, Valery Bezpalov, capo ingegnere e il super visore Boris Baranov. Tre uomini che impedirono una seconda esplosione che avrebbe potuto cancellare l’Europa dalla mappa.
Cosa accadde nello specifico? Dieci giorni dopo l’incidente, gli ingegneri capirono che sotto il reattore si era formata una grande pozza d’acqua. Il calore del nocciolo fuso, se avesse raggiunto quell’acqua, avrebbe generato un’esplosione di vapore radioattivo di proporzioni devastanti. Le stime parlavano infatti di una potenza compresa tra i 3 e i 5 megatoni: abbastanza da radere al suolo Minsk, distante oltre 300 km, e rendere inabitabile gran parte del continente.
L’unico modo per evitarlo era svuotare manualmente la piscina. Servivano volontari che conoscessero i sotterranei dell’impianto. Il rischio era chiaro: chiunque fosse sceso sarebbe stato condannato a morte certa per esposizione alle radiazioni. Ma Ananenko, Bezpalov e Baranov si offrirono. “Come potrei rifiutare? Solo io so dove si trovano i portelli di scarico” rispose Ananenko. Armati di torce che si spensero quasi subito, si immersero nell’acqua contaminata e (al buio) riuscirono ad aprire le valvole permettendo lo svuotamento della piscina e salvando milioni di vite. Contrariamente a quanto si temeva, i tre uomini non morirono subito. Boris Baranov è scomparso nel 2005 per un infarto. Ananenko e Bezpalov sono tuttora in vita. Ma il loro gesto rimane uno dei più eroici e silenziosi del nostro tempo. Grazie a loro, oggi siamo vivi.
Una storia ancora attuale
Chernobyl non è solo una pagina di storia, è una realtà ancora viva. La guerra in Ucraina ha reso ancora più instabili le condizioni nelle zone contaminate, aggravando la crisi sociale ed economica. Inoltre, le centrali nucleari ucraine (quattro attive, con quindici reattori) rappresentano oggi obiettivi sensibili accrescendo il rischio di nuovi incidenti.
Nel frattempo, i bambini continuano a pagare il prezzo più alto: assorbono più facilmente i radionuclidi presenti nel cibo e nell’ambiente, con conseguenze sanitarie devastanti. Migliaia di loro vivono senza cure adeguate, in territori segnati per sempre.
A 39 anni di distanza, la lezione di Chernobyl è più attuale che mai. È un monito che ci ricorda i limiti dell’energia nucleare e l’enorme costo umano, ambientale e sociale che comporta. Ma è anche una storia di eroismo, di altruismo estremo, di persone che hanno scelto di sacrificarsi per il bene comune.