RACALE, FIGLIO UCCIDE LA MADRE SENZA PENTIMENTO: “SUPERATO OGNI LIMITE” – Il 19 giugno, a Racale, in provincia di Lecce, si è consumato un delitto che ha lasciato sgomenta un’intera comunità – e non solo. Filippo Manni, studente universitario di 21 anni, ha ucciso la madre Teresa Sommario, 52 anni, colpendola ripetutamente alla testa con un’ascia ornamentale da boy scout. La donna stava lavorando in smart working quando il figlio, in seguito all’ennesima discussione familiare, è salito al piano superiore per prendere l’arma appesa al muro. Dopo averla uccisa, ha infierito anche contro il suo computer, motivando così il gesto: “Perché parlava”.
Nel corso dell’interrogatorio, durato quasi un’ora e mezza, Manni ha confessato il delitto senza mostrare alcun segno di pentimento. Anzi, è apparso freddo e distaccato, raccontando: “Altre volte per scherzo l’ho pensato, dicendoglielo, e oggi l’ho fatto”. Dopo l’omicidio, non ha tentato di scappare. Ha riferito di voler andare al cimitero a trovare la nonna o fare un bagno a mare. È stato però intercettato dai carabinieri mentre si dirigeva verso Torre Suda, a torso nudo e in stato confusionale.
Le motivazioni dietro l’omicidio non sembrano legate a gravi conflitti familiari, ma a una serie di piccoli contrasti quotidiani: le ramanzine sui ritardi, il disordine, un incidente stradale con danni all’auto di famiglia, i disaccordi sul percorso universitario. Il giovane desiderava lasciare Economia e dedicarsi alla sua passione: la musica e la chitarra.
Teresa Sommario era una donna molto apprezzata nel suo ambiente di lavoro, l’ufficio acquisti della CNH Industrial di Lecce. I colleghi la ricordano come una persona solare e affettuosa, che ogni mattina abbracciava tutti prima di iniziare la giornata. Lascia due figli gemelli minorenni e un dolore enorme nella comunità.
Racale, Stenico: “Quando un figlio uccide la madre, non si può restare in silenzio”
Sull’episodio è intervenuto, con parole forti e lucide, Monsignor Tommaso Stenico, ai microfoni di un “Un Giorno Speciale”. La sua riflessione parte dallo sgomento per la totale assenza di rimorso da parte del ragazzo: “Un figlio che uccide la madre e non mostra alcun pentimento: ragazzi, fermiamoci cinque secondi. Stiamo valicando una soglia di non ritorno”.
Il sacerdote invita tutti a un esame di coscienza collettivo: “La colpa è di tutti: della famiglia, della scuola, di tutte le agenzie educative. Ma la responsabilità più grande io la attribuisco ai mezzi di comunicazione”.
Stenico, che ha insegnato teoria e tecnica della comunicazione per 25 anni, denuncia un sistema mediatico che ha smesso di essere educativo e si è trasformato in un veicolo di disvalori: “Quello che va in onda è un nulla fondato su sentimentalismi superficiali. Se non mi va più bene la mia famiglia, la lascio. Se non mi va più bene una persona, la cancello”.
Il ruolo dei media e l’effetto imitazione
Il sacerdote sottolinea come la costante esposizione alla cronaca nera e alla spettacolarizzazione della violenza contribuisca alla distruzione dei valori fondamentali: “Perché i giornali, i telegiornali e le TV parlano solo di omicidi, femminicidi, adolescenti che si accoltellano per una felpa? Notizie belle, costruttive, ce ne sarebbero tantissime. Ma si scelgono solo quelle che scioccano”.
Questo approccio, sostiene, crea un effetto imitazione pericoloso: “Il ragazzo, per sentirsi importante, imita. L’omicidio diventa un gesto estremo per emergere da un’ombra esistenziale”. E nel caso di Filippo Manni, la mancanza di segnali d’allarme visibili rende tutto ancora più inquietante: “È possibile che nessuno si sia accorto del disagio? Ci accorgiamo solo dopo che ha preso l’accetta e ucciso sua madre?”
“Serve un cambio di rotta radicale”
L’appello di Monsignor Stenico è chiaro e senza giri di parole: “Non si tratta di puntare il dito, ma di invocare un cambiamento profondo nel modo in cui educazione, famiglia, media e società si propongono ai giovani”. Serve una riforma culturale, un recupero del valore della relazione, del rispetto, del limite.
Questo delitto non può essere archiviato come l’ennesimo fatto di cronaca nera. È uno specchio crudele di un disagio profondo. Una chiamata, dolorosa ma necessaria, a ripensare il modo in cui cresciamo e accompagniamo i nostri figli nel mondo di oggi.