Riparte Sanremo, ovvero come nascondere i problemi sotto il tappeto dell’Ariston in poche mosse

Puntuale come un orologio elvetico è partito ieri sera il Festival della Canzone Italiana di Sanremo, appuntamento fisso dello spettacolo italiano. Tra l’altro il Festival della Canzone Italiana di Sanremo risulta ad oggi l’evento italiano più seguito al mondo.

Come ogni anno, il sottoscritto ha trascorso altrimenti il proprio tempo, nella fattispecie leggendo di filosofia. Il festival della canzone di Sanremo rappresenta in effetti il non plus ultra della distrazione di massa che è tanto cara al potere. È, per così dire, la variante postmoderna del panem et circenses, caro ai romani.

È il divertimento nell’accezione a suo tempo sottolineata da Blaise Pascal nei suoi pensieri. Se devertere, distrarsi rispetto alla realtà e alle sue contraddizioni, ai suoi traumi e ai suoi conflitti. Proprio così, per un’intera settimana gli strateghi del consenso e i padroni del discorso potranno tirare il fiato, come usa dire, dacché i problemi reali del mondo contraddittorio di cui siamo nostro malgrado abitatori, resteranno integralmente fuori dai radar.
Si parlerà d’altro, di spettacolo, di musica e di tutto ciò che non riguarda nemmeno lontanamente i problemi in cui la massima parte di noi vive. Perché si sa, nella civiltà dello spettacolo è ciò che appare. E nulla esiste se non ciò che appare.

Lo aveva compiutamente sottolineato Guy Debord nel suo splendido testo “La società dello spettacolo” che risulta oggi vera più di ieri. Oltre a questa funzione di divertimento nell’accezione di Blaise Pascal, il se devertere, v’è un’altra che viene svolta puntualmente ogni anno da Sanremo, ed è la diffusione a tambur battente del pensiero unico di glorificazione dei rapporti di forza della globalizzazione neoliberale. Come non mi stanco di sottolineare, il pensiero unico non è altro che quella serie di dogmi psicologici e mentali, di parole d’ordine e di comportamenti che sono in ultima istanza non neutri ma funzionali al mantenimento e anzi al consolidamento dei rapporti di forza della società neoliberale.

Quella di Sanremo è, allora, anche sotto questo profilo, una grande ortopedizzazione di massa atta a fare sì che gli internati dell’antro caliginoso di Platone amino ancora una volta le proprie catene, e di più siano pronti a battersi contro chiunque, scendendo là sotto, tra le ombre e gli inganni, volesse provare a spezzarle.
Avremo come sempre, come già abbiamo avuto anche nella prima serata, la celebrazione della globalizzazione dei suoi stili di vita, la dissacrazione volgare del sacro, modalità Achille Lauro, la santificazione dell’eroticamente corretto pansessualista e deregolamentato, la celebrazione di tutto ciò che in un modo o nell’altro possa essere funzionale ai rapporti di forza egemonici. Insomma, Sanremo si conferma ancora una volta un poderoso dispositivo di imposizione mediatica delle categorie mentali e psicologiche funzionali allo status quo.

Nihil novi sub sole, direte voi, dacché Sanremo da sempre svolge questa funzione e soprattutto lo fa negli ultimi anni, quando sembra aver varcato ogni ultimo limite di contenimento. Sanremo è diventata, in effetti, una grande prova, una grande esibizione delle ideologie dominanti, dei costumi e degli schemi di pensiero egemonici. Ecco perché, mi permetto di dire, è meglio impiegare altrimenti il proprio tempo.

RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro