L’ultima trovata per demonizzare gli agricoltori è un ritornello visto e rivisto

La protesta dei trattori non accenna a placarsi. In tutta Europa seguitano senza tregua le manifestazioni degli agricoltori contro le folli politiche di un’Unione Europea che si conferma tempio del capitale finanziario e degli interessi bancari contro le ragioni del lavoro e della terra. Il famoso New Deal verde dell’Unione Europea non è altro che un colpo potenzialmente mortifero assestato ai danni degli agricoltori e del loro lavoro.

Oltretutto con un nome orwelliano e proditorio, dato che il New Deal fu la politica keynesiana istituita da Roosevelt, ciò che nulla a che vedere con un’Unione Europea che strutturalmente non può fare, e non per accidence, politiche keynesiane a beneficio dei lavoratori. Tutto sta procedendo come da copione. L’ordine discorsivo mediatico ha provato in principio a ignorare le proteste degli agricoltori.

Ha finto che non esistessero e ha evitato accuratamente in ogni modo di parlarne. Dato però che dette proteste non si sono fermate e anzi sono andate via più potenziandosi, il potere neoliberale è passato, come era prevedibile, alla fase 2: la fase cioè della demonizzazione, volta a creare nell’opinione pubblica un generale dissenso verso le proteste degli agricoltori. Per produrre tale dissenso il potere neoliberale utilizza principalmente due mezzi: in primis, prova a presentare mediaticamente le proteste come condotte generate da bifolchi populisti e in odore di fascismo.

In secondo luogo, in maniera sinergica, prova realmente a infiltrare ranci di residui di fascismo nelle proteste, con l’evidente obiettivo di poterle poi screditare più facilmente. Soprattutto per quel che concerne quest’ultimo punto, gli agricoltori debbono essere particolarmente cauti ed evitare in ogni modo la strumentalizzazione che il potere cerca in ogni modo e del tutto in maniera non innocente, di fare delle loro proteste. In particolare, gli agricoltori debbono, oggi più che mai, diffidare di presunti masaniello estranei al loro mondo, che semplicemente vogliono intestarsi le proteste, cavalcarle e che in realtà sono semplice espressione del potere dominante e delle sue mire di demonizzazione della contestazione dell’ordine neoliberale.

Ecco perché la situazione oggi è più delicata che mai, le proteste mi paiono essere davvero giunte a un bivio fondamentale o riusciranno, come speriamo, a coinvolgere sempre più consenso intorno a sé e a generare un grande movimento di contestazione della globalizzazione neoliberale che rimetta al centro i temi fondamentali del lavoro e delle identità, delle culture e delle classi popolari.

Oppure vi è il rischio di una grandiosa restaurazione neoliberale che screditerà in toto le proteste, abbinandole al populismo fascista, e che in tal guisa, con l’opinione pubblica artatamente manipolata, potrà perseguitare e reprimere dette proteste.

Come peraltro in passato è già avvenuto, se abbiamo ancora a mente la vicenda dei Gilets jaunes francesi, le “giubbe gialle”, che protestavano per ragioni sacrosante, per il lavoro e contro il capitale, per il potere territoriale, contro il potere transnazionale apolide e che, come ricordiamo bene, vennero represse nel sangue non prima di essere state demonizzate ad hoc dall’ordine discorsivo e dai padroni monopolistici della parola.

Radioattività con Diego Fusaro – Lampi del pensiero quotidiano