Non c’è definizione migliore e più identitaria, nell’accezione migliore del termine, di quella che ci porta a dire: – Se lo hai dalla tua parte lo adori, se lo hai contro lo detesti – a proposito di un calciatore o, come in questo caso, della sua parabola di carriera che ha compiuto per intero il suo percorso e, ci viene da dire, si è conclusa nella giusta maniera, ossia senza trascinarsi più di tanto. Avrete già capito che si sta parlando di Giorgio Chiellini, che ha salutato il calcio giocato, quel suo elemento all’interno del quale ha vissuto e vinto lungo un’era sportivamente geologica, se con la sola Juventus ha militato dal 2005 al 2022, lungo il corso di 561 presenze complessivamente, bagnate da 36 reti, da nove scudetti, da cinque Coppe Italia, da cinque Supercoppe Italiane. I ricordi in azzurro, amari come le mancate qualificazioni mondiali o gioiosi come l’Europeo vinto contro gli inglesi, lo hanno poi elevato a totem trasversale nella seconda parte della sua carriera, per quanto possibile.

Il personaggio che c’è stato sempre dietro all’arcigno marcatore si presta a considerazioni variegate, che andrebbero depurate per quanto possibile dalla partigianeria campanilista, che come sappiamo è impossibile da debellare del tutto. Di certo, come abbiamo scritto all’inizio, uno così visto e vissuto da avversario non poteva che richiamare gli improperi dell’Italia non bianconera; questa, del resto, è la cifra stilistica e caratteriale di quelli che lasciano il segno anche per l’appartenenza.

Il discorso si fa interessante quando si ragiona sul difensore che è stato e sull’uomo che nel corso della carriera è voluto diventare, con un percorso che non è certo giunto al traguardo, da quel punto di vista. Un centrale coriaceo come se ne trovavano negli anni Settanta e Ottanta, riferimento del reparto a livello tattico e temperamentale, forse migliore tecnicamente rispetto a come per troppo tempo è stato dipinto.
Tradizionale il calciatore, dunque, evolutivo l’uomo: con i suoi studi, i suoi approfondimenti, il modo di porsi composto e sempre dal profilo non basso ma appropriato. Un prototipo di atleta che già nel corso della carriera ha saputo guardarsi attorno, oltre il rettangolo di gioco, perché aveva capito ben presto che quella rutilante fase della sua vita trascorsa a presidiare l’area di rigore sarebbe stata in ogni caso un solo capitolo del libro dell’esistenza, lui che di libri ne ha letti e ne leggerà.

Non sappiamo con certezza se diventerà o meno un dirigente della Juventus; in un certo senso dovremmo augurargli di no, perché stiamo parlando di uno che ha già fatto scelte poco scontate, in precedenza.

Paolo Marcacci