A sei giorni dall’uscita di Relax, il nuovo album poco indie di chi all’indie made in Italy ha dato i natali, un paio di domande continuano a ronzare nella testa di chi scrive.
Quando cominceremo ad accettare senza pregiudizi le evoluzioni di un artista? Quando l’artista dovrà smettere di giustificarsi per un lavoro che si distacca stilisticamente dai suoi precedenti?
Edoardo, in arte Calcutta, sapeva, o quantomeno si aspettava, di aver dato vita a un’astinenza forte. 5 anni non sono pochi per un autore. 5 anni sono un secolo per la setta dei fedelissimi di ‘Mainstream’.
Sempre Edoardo, in arte sempre Calcutta, sapeva, o quanto meno immaginava, di dover provare a soddisfare aspettative che avevano raggiunto ormai altezze vertiginose, sedimentate da un lustro di assenza.
E se le aspettative si alzano a dismisura, cosa fa quel ragazzo di Latina che ci ha accompagnati mano nella mano nel magico mondo del testo no sense e dei sintetizzatori digitali che sembrano analogici ma non vogliono avere la pretesa di sembrarlo? Scrive un album per il gusto di scriverlo, torna a fare musica per il gusto di farlo. Al diavolo le aspettative. Al diavolo le aspettative, quelle troppo alte da soddisfare in ogni caso.

Relax è un album schietto. È un album che ha raggiunto la maturità che ci si aspetta dal terzo lavoro di un ottimo autore. A discapito di quanto possa pensare Camilla che abita a piazza Navona, beve solo vini naturali e ascolta soltanto “Calcutta quello vero perché cioè già da Evergreen per me non è più lo stesso”.
Ascoltare Relax pensando di ritrovarci al suo interno “Del verde” o “Gaetano” o “Cosa mi manchi a fare” vuol dire non ascoltare Relax. E a questo punto verrebbe proprio da domandarsi: cosa ci è mancato a fare se non riusciamo ad accettare che le cose possano cambiare e che i vecchi amori che ritornano sono amori, si, ma pur sempre vecchi?
La vera chiave di volta che ha aiutato chi scrive a smettere di versare lacrimoni di nostalgia perché “Calcutta non fa più indie”, ma bensì a osservarne con occhi meravigliati l’evoluzione stilistica è stata questa. Relax è un album di ottima fattura, in cui per la prima volta l’arrangiamento musicale non è più soltanto una timida cornice ma si fa coprotagonista di testi che ci riportano alla mente il vero motivo per cui ci siamo innamorati della discografia indipendente. Dei sintetizzatori usati per ricordarci che i suoni made in 70-80’s non ci stancheranno mai, pochi sono analogici, molti digitali. Ma la magia di un produttore come Andrea Suriani interviene proprio a questo punto. Il lavoro sul suono è impeccabile e a detta dello stesso Calcutta, nella vita reale Edoardo, non dimentichiamolo: “Suri ha reso veri suoni e drums digitali. Una cosa anni settanta fatta al computer”. E questo è il vero incantesimo, il colore dei suoni di Relax è reale, dinamico. Fatto “a mestiere”, direbbe qualcuno.

Ma, arrivati a questo punto, non ci rimane proprio più nulla del buon vecchio Calcutta?
È qui il tranello. Perché Relax è tutto quello che abbiamo vissuto del nostro beneamato Edoardo. Il bello e il brutto. È il conglomerato di tutte le critiche e gli amori che hanno generato i primi due album. Relax è la spinta verso l’alto di un artista pronto a conquistare tutti, generazione per generazione. Relax è il primo vero passo che Calcutta ed Edoardo, insieme, fanno per uscire dalla cameretta dismessa che odora di tabacco, dalla cui porta si intravede la vecchia diamonica dai tasti ingialliti delle medie. Che fa troppo indie per non essere ancora esposta lì in un angolo.
Non disperate se Calcutta non è più lo stesso e mettetevi l’anima in pace. A lui, forse, non fregherà più di tanto.