Raccontava sempre il mio papà che all’inizio degli anni ’50, dopo anni difficili a cavallo tra le due guerre mondiali, un Napoli finalmente discreto faceva sognare anche lui di poter vedere prima o poi la propria squadra vincere uno scudetto, senza dover sempre stare ad assistere ai festeggiamenti dei suoi amici tifosi di Juventus, Milan o Inter.

Erano gli anni della faticosa ricostruzione del secondo dopoguerra, in un’Italia ancora non investita dal boom economico che di lì a breve avrebbe riportato nuovamente il benessere nel Paese.
Ancor più faticosi erano quegli anni in realtà di provincia come quelle che il mio papà ha vissuto con i suoi fratelli, girovagando per tanti comuni d’Italia da Nord a Sud, seguendo il lavoro di suo padre (mio nonno, Vittorio de Gaetano).

Ma questo sogno tricolore del mio papà fu in un certo senso spezzato sul nascere da un compagno di classe delle scuole elementari, juventino, che in maniera molto spietata come solo i bambini certe volte sanno essere, gli profetizzò che il Napoli non avrebbe mai potuto vincere lo scudetto.

La frase precisa era la seguente: “il Napoli, fondato nel 1926, per cento anni, fino al 2026, non potrà mai riuscire a vincere il campionato”.

Questa di quel bambino non era però una maledizione, paragonabile a quella che nel 1962 il tecnico del Benfica, Bela Guttmann, si dice abbia lanciato alla sua squadra dopo essere stato sollevato dall’incarico, affermando che “dopo di me la squadra non vincerà mai più Coppe dei Campioni per i prossimi 100 anni” (per la serie “non è vero ma ci credo” dopo di allora il Benfica ha finora perso 11 finali su 11 a livello continentale tra prima squadra e giovanili).

Quel bambino, nonostante la sua giovanissima età e la poca esperienza che peraltro, a quei tempi, accomunava tutti visti i pochissimi campionati disputati fino a quel momento nella storia della Serie A, si era semplicemente lanciato in una previsione socio-politica più ancora che sportiva, basata sull’idea che alla base del trionfo nel calcio occorressero organizzazione, solidità societaria, potere politico e molti denari da investire: tutte peculiarità che quindi mal si conciliavano con una realtà del Sud Italia.

Non si può dire che quel bambino abbia avuto torto. Anzi. E pur nelle non moltissime stagioni in cui si è avuto un Napoli anche molto bello e competitivo, come quello di Jeppson, quello di Sivori e Altafini, quello di Vinicio fino ad arrivare a quello di Maurizio Sarri c’è sempre stato un “Core’Ngrato”, “uno sciagurato autogol”, una “sconfitta in albergo” a negare agli azzurri il trionfo.

Certo è vero. Il Napoli non uno, ma addirittura due scudetti, li ha vinti nella sua storia. Ma ciò è stato possibile, solo perché “è stata la mano di Dio”. Gli scudetti sono infatti arrivati solo con Maradona in maglia azzurra, l’unico davvero in grado di poter essere più forte di tutto e di tutti.

Perciò, si può tranquillamente affermare che quei trionfi, così unici e irripetibili nella storia del calcio globale (non solo partenopea), non hanno spostato di una virgola la veridicità di quanto profetizzato da quel bimbo.

A ulteriore conferma di quella teoria, in fondo, c’è che ancora nel terzo millennio, lo scudetto non è andato praticamente mai fuori dal triangolo Juve-Milan-Inter.

L’ultima vittoria di una squadra diversa dalle solite tre, risaliva infatti all’ormai lontanissimo 17 giugno 2001 quando a vincere il tricolore era stata la Roma di Totti, Batistuta e Montella.

Proprio quello stesso giorno, il Napoli, nonostante un gagliardo girone di ritorno, retrocesse invece mestamente in Serie B.

Quel giorno di 22 anni fa, le lacrime napoletane scorrevano a fiumi: risultati sportivi drammatici e società allo sbando erano il preludio a stagioni ancor più buie (che effettivamente di lì a breve sarebbero arrivate, con il fallimento e la ripartenza dalla Serie C1).

E, di certo, non mancava anche un pizzico di invidia nell’assistere alla grande festa di popolo dei tifosi giallorossi che, tra le altre gioie, avevano visto la propria squadra riportarsi avanti rispetto agli azzurri anche nel computo degli scudetti vinti (3 a 2).

Quel giorno di 22 anni fa, NESSUNO AL MONDO (non solo quel bambino di provincia), avrebbe potuto credere che sarebbe arrivato prima il terzo scudetto napoletano rispetto al quarto romanista.

E invece, oggi, il conto degli scudetti tra Roma e Napoli è tornato ad essere in parità, sul 3 a 3, dimostrando una volta di più quanto imprevedibile possa essere lo sport, quanto imprevedibile possa essere la vita.

Imprevedibile sì… ma forse non per te papà, che in fondo, a quel tuo compagno non hai mai creduto.

Perché un giorno di fine agosto del 2020, dopo averlo visto giocare SOLO nella sua prima amichevole in maglia azzurra nel ritiro estivo di Castel di Sangro, mi hai scritto il seguente sms:

“GRANDE! Con Osimhen sarà scudetto! Questo segna a tutti”.

Il mattino seguente hai preso un giornale che, per raccontare di quell’amichevole, ritraeva a tutta pagina il volto sorridente di Osimhen, e lo hai appoggiato sopra il tuo televisore, quasi come fosse un santino.

Era diventato il tuo IDOLO perché, come mi hai scritto, hai visto immediatamente in lui, prima di chiunque altro, colui che avrebbe potuto, davvero, spezzare l’incantesimo tricolore.

E lo avrebbe potuto spezzare prima del tempo limite del 2026, indicato dal tuo compagno di scuola. Sei diventato il primo vero grande tifoso napoletano di Osimhen. Il primo di centinaia di migliaia sparsi nel mondo che oggi lo esaltano.

Proprio tu che poi non lo hai visto MAI GIOCARE nemmeno un minuto di una partita ufficiale in maglia azzurra perché, ancora oggi non ho capito come e perché, di lì a brevissimo sei improvvisamente andato via.

E allora, caro papà, volevo dirti che, come al solito, hai avuto ragione tu: con Osimhen, nel 2023, è stato scudetto!