Mourinho non è il verbo, ma quanti verbi profusi contro di lui. Che faccia parte di quella schiera di personaggi che cercano, riuscendoci, di cadere sempre in piedi quali che siano i risultati che ottengono, non dovevamo aspettare che venisse a Roma per saperlo. Peraltro, per quanto riguarda questo aspetto fa parte dello stesso club al quale, con stile differente, sono iscritti gli Ancelotti, i Guardiola, i Conte e, in passato, i Capello. Con la differenza che lui funzionalizza ogni forma di comunicazione ai suoi interessi meglio di tutti gli altri. E quando approda in un club, gli interessi di quest’ultimo coincidono con i suoi, per questo nel novantanove per cento dei casi le tifoserie delle squadre che ha allenato lo hanno adorato e, nel ricordo, lo venerano ancora come fanno gli interisti.

Vi starete chiedendo: sì, ma il campo che dice? Il campo dice che i numeri della Roma, pur con qualche evitabile caduta, garantiscono competitività per le zone di classifica che contano davvero, di qui alla fine. L’analisi dei fatti di campo, evidenzia spesso un altro aspetto: se perde, è colpa sua perché non riesce a rappresentare il valore aggiunto che sempre si pretende da lui; se vince, lo si accusa di giocare quasi peggio di quando perde, come accaduto dopo Roma – Juventus. Quando si parte da un preconcetto (pregiudizio?) positivo o negativo che sia, i fatti, quelli che dovrebbero costituire le fondamenta di ogni analisi, perdono il loro valore, anche quando appare evidente, in ogni ambito.

Non dobbiamo convincere nessuno, attraverso l’esposizione di un sintetico punto di vista; proviamo però a prefigurare uno scenario: ipotizziamo che lui lasci la Roma a giugno, indipendentemente da come finirà la stagione, per far posto a un allenatore giovane, rampante, di quelli che si definiscono “giochisti” con l’orrendo neologismo che imperversa negli ultimi tempi. Un De Zerbi o un Italiano vanno bene, come esempi. Identità tattica (come se la Roma di Mou non ne avesse), trame di gioco articolate e un appagamento “estetico” per chi assiste alle partite. Dopodiché, sempre procedendo per ipotesi, se dovessimo entrare in un Olimpico che non fa più registrare i sold out abituali da più di un anno a questa parte o prendere atto che il Dybala o il Matic di turno non avvertono più il richiamo irresistibile di una sirena come quella che li ha portati a Roma, quanti di noi sarebbero disposti a parlare di miglioramento?

Paolo Marcacci