Giorgio Bianchi in diretta ▷ “In TV mi dissero «Non importa se dici il vero». Azov? Sentite cosa trovai”

A sentire la reputazione che gli attribuisce qualcuno pare che parliamo di un dipendente del Cremlino. Attenzionato dal Copasir, sbattuto in prima pagina come russofilo, inserito in liste di proscrizione mediatiche come “filoputiniano” e chi più ne ha più ne metta.
Ma cos’ha fatto Giorgio Bianchi, fotoreporter decennale, per procurarsi una tale nomea?
Non ha propagandato fake news di Mosca smentite dai debunker, non ha preso le parti di una fazione in causa, non ha rubato foto di guerra omettendo di riportare il contesto in prima pagina. Tutto questo, invece, l’hanno fatto alcuni nostri media di chiara fama atlantista. Il reporter dal 2014 informa sulla difficile situazione dei russofoni del Donbass, sfociando in numerosi approfondimenti bellici dal febbraio 2022. Su Azovstal, sulla comunicazione di guerra occidentale, sulle notizie false riportate dai quotidiani, sull’ottimismo fuori luogo che seppellisce ogni giorno morti in Ucraina.
Ebbi un confronto con Fiorenza Sarzanini in cui la esortavo a dirmi quale delle cose che le dicevo non fosse fattuale. Lei disse che non importava se dicessi il vero o meno, il problema è che le mie informazioni verrebbero superdiffuse dalla propaganda russa“.

Propaganda russa che“, aggiunge Bianchi, “non si capisce quale sia, perché a Mosca trovai media occidentali, mentre qui non trovo media russi“. Altrimenti, forse, non si sarebbe puntato sul fattore neonazismo per sfatare l’azione di Putin. Ce li ricordiamo articoli dal titolo “Perché l’Ucraina per difendersi usa nazisti ma non è nazista”. Una difesa un tantino fallace, quando anni prima la versione sembrava differente.
C’era un articolo sulla Stampa del 2015 in cui si parlava chiaramente del neonazismo in Ucraina, un pezzo di Haaretz (quotidiano progressista israeliano) in cui ci si chiedeva se fosse morale per Israele vendere armi a gruppi di ispirazione neonazista“.

“Nella sede di Azov”

Poi ci sono le prove materiali: “Io sono stato nella sede di Azov, a Mariupol. Andai nell’aprile scorso, dopo l’entrata dei russi in città. Erano scappati lasciando tutto, trovai perfino le patate ancora nell’acqua.
Quello che vidi è stato condiviso in un servizio da Mario Giordano: tirai fuori libri su Mussolini, su Hitler, bandiere con la svastica, simboli runici, simboli sulla SS Galicia, simboli che si rifacevano a Stepan Bandera.
Lì, nella stessa Ucraina dove negli anni passati sono stati uccisi 40 giornalisti. Dove sono stati chiusi tutti i partiti d’opposizione. Dove in questi giorni nel silenzio totale chiudono la Chiesa afferente al patriarcato di Mosca.
Io lo dissi all’inizio: attenti a voler democratizzare l’Ucraina, si finirà per ucrainizzare l’Europa
“.